Elena è nata alle 8,00 di mattina del 25 agosto 1905 a Glogowiec, a cinquanta chilometri da Lodz, nell'ex circondario di Turek, attualmente di Leczyca. Due giorni dopo, don Giuseppe Chodynski,parroco della parrocchia di san Casimiro a Swinice presso Warka, l'ha battezzata e le ha data il nome di Elena. Quello stesso giorno, intorno alle 13,00, Stanislao Kowalski ha portato in chiesa sua figlia; si è presentato con due testimoni, contadini di Glogowiec: Francesco Bednark e Giuseppe Stasiak. I padrini della bambina erano Marianna Szewczyk e Costantino Bednarek. Helenka (diminuitivo di Elena) era la terza figlia di Marianna Bawej, nata l'8 marzo del 1875 a Miniewo, e di Stanislao Kowalski, nato il 6 maggio 1868 a Kraski.
"Tutti l'amavano (dice la mamma di Helenka) era la figlia migliore e prediletta. Umile e silenziosa, ben disposta a qualsiasi lavoro e ad aiutare tutti e , nello stesso tempo,allegra e sempre sorridente.A volte dicevo agli altri figli di prendere esempio, per essere come lei, laboriosi, obbedienti e buoni con tutti. Helenka era clemente con gli uomini e gli animali. A volte i bambini ridevano di lei dicendo: "Ah donna misericordiosa", ma questo non la offendeva. Non rifiutava mai niente a nessuno (racconta Marianna Kowalska), era prorpio una figlia benedetta. Era la nostra terza figlia. Nel 1902 è venuta a mondo la nostra prima figlia, Giuseppina, e un anno dopo Eva (a casa la chiamavamo Eugenia).Questa volta lei è venuta al mondo, senza alcuna complicazione, ed anche i successivi sette figli li ho partoriti senza problemi. Questa figlia benedetta ha santificato il mio grembo.
Qualche tempo dopo il matrimonio, abbiamo comprato un piccolo possedimento a Glogowiec (così racconta Marianna la mamma di Helenka) era un paese silenzioso e tranquillo, dall'altra parte di Swinice presso Warka, che apparteneva alla parrocchia di San Casimiro. Lì ha abitato per qualche tempo la famiglia di Stanislao. Il nostro podere era un pezzo di terra che finiva al confini del bosco.
Le fotografie mostrano i dintorni pianeggianti di Swinice e Glogowiec. Si vede il sole che disegna un largo arco e volge al tramonto. Colorando di rosso il blu scuro del cielo, illumina una vasta spianata di sabbia, cosparsa di segale e prati di licheni. Il verde spento dell'erba arriva alla striscia scura, pittoresca, di un bosco frondoso che si staglia all'orizzonte. Filari di querce, lontani, frassini ed aceri si alternano qua e là ai pini che si addensano nel fondo. Proprio lì, tra i casolari di campagna sparsi tra i campi e disposti in fila lungo la strada, si vede il podere dei Kowalski. Da giovani hanno comprato dieci iugeri di terreno (7,5 iugeri di campo coltivato, 2,5 iugeri di prati) ed una vecchia casa.Nessuna foto mostra l'aspetto originario del podere acquistato da Marianna e Stanislao. Dalle relazioni, contenute nelle note dei parenti e degli abitanti del paese e dei dintorni, risulta che il casolare comprato dai Kowalski era in cattivo stato, avevano dunque deciso di costruirne uno nuovo. Stanislao aveva affidato la costruzione della casa ad esperti, ma i lavori di falegnameria li aveva fatti lui. Intorno all'anno 1900, la casa, piccola, ma solida, dei Kowalski era pronta. Una casa ad un piano, di pietra chiara calcarea, chiamata rozniatowska, abbellita di mattoni rossi e coperta con un tetto di paglia. Le mura, del materiale di costruzione più economico nei dintorni, proveniente dalla vicina contrada di Rozniatów, si presentano bene fino ad oggi. La pietra tagliata a pezzi rettangolari, unita il creta ed abbellita di mattoni rossi, situati sotto le finestre ed agli angoli dell'edificio, si era mantenuta, per più di cento anni, in buono stato.
La casa a pianterreno dei Kowalski si armonizzava perfettamente con il paesaggio campestre di Glogowiec. Gli edifici abitati, modesti ma solidi, e le fattorie formavano un rettangolo chiuso dal giardino, nel quale gli alberi da frutto si mescolavano alle aiuole di fiori. Guardando dalla strada, a destra del cortile, accanto al pozzo con una carrucola di legno, c'era la stalla. Perpendicolarmente ad essa, e parallelamente alla casa, c'era un piccolo fienile al quale era attaccata la legnaia, dove d'estate c'era anche la bottega da falegname di Stanislao. Dalla stalla provenivano i versi tipici del bestiame. Dal giardino un profumo di menta misto alla fragranza delle rose e di altri fiori. Anche gli alberi da frutto, circondati da sciami di api, emettevano un profumo intenso. Il rumore del vento, il fruscio di foglie e d'erba interrompevano, di tanto in tanto, il muggito delle mucche ed il cinguettio degli uccelli. L'immagine dei dintorni, piena di rurale bellezza, suscita un sorriso sul volto della ragazza. Ricordando tutte le storie lette e sentite sui Kowalski, con sincera ammirazione osserva i loro sforzi quotidiani. Questa coppia pia, che viveva laboriosamente ed onestamente, per molti versi poteva essere un modello non solo per i loro vicini. Avevano così poco, dovevano lavorare così duramente e superare così tante difficoltà, e, tuttavia, sopportavano tutto con dignità e serenità degne di ammirazione. Per dieci anni erano stati soli senza figli, solo in due; avevano avuto dunque il tempo per curare tutto. Stanislao era contadino come il padre, ma aveva imparato anche a fare il falegname. Era laborioso, perbene ed onesto. Era capace di fare molte cose, che la gente gli chiedeva volentieri aiuto per diversi lavori. Durante il giorno andava a lavorare nei poderi circostanti e la sera lavorava la sua terra. In attesa della prole, in qualche modo se la cavavano. È difficile immaginare oggi le loro condizioni di vita. Stanislao, riservato, un po' secco e a volte esplosivo, sia Marianna, delicata, paziente, benevola.Lui che pianificava prudentemente tutti i lavori, divideva il giorno con precisione, perché bastasse il tempo per guadagnare nei poderi altrui ed occuparsi del proprio e, prima di tutto,per la preghiera, che per Kowalski era la cosa più importante. Non gli mancavano dunque gli impegni, ed il giorno era in genere troppo corto per riuscire a far tutto. Era, inoltre, un uomo così esigente e di princìpi che si aveva paura di opporsi a lui e perdere la sua stima. Era, a volte, austero ed intransigente. Ma le sue regole erano così chiare e fondate saldamente sulla realtà, che era difficile non essere d'accordo con esse e discutere. Tanto più che Stanislao non solo sapeva leggere, ma amava i libri, specialmente quelli religiosi, tra i quali, al primo posto, c'era la Sacra Scrittura e, subito dopo, le vite dei santi. Quei libri avevano il loro posto di riguardo nella casa dei Kowalski. Sebbene in una casa di campagna sia una rarità, Stanislao, nella sua a Glogowiec, aveva raccolto una cospicua biblioteca. Con cura sceglieva i libri che anche i suoi figli avrebbero dovuto conoscere. Per anni si era immerso nella lettura di essi, dunque, la sua conoscenza di Dio e del mondo aveva solide basi. Aveva introdotto e coltivato l'abitudine di leggere ad alta voce i libri. Lo faceva da solo, finché le figlie ed i figli non erano andati a scuola. Dopodiché, Helenka aveva raccolto volentieri e con gioia quel compito.Marianna risulta ad Ewelka ancora più vicina. Di certo perché nel contatto con gli altri era del tutto diversa dal marito calorosa, cordiale, comprensiva. Ma, in verità, si rifaceva alle stesse regole, solo che non le definiva in modo così categorico e non le eseguiva senza riguardo, come lui. Tuttavia, lo appoggiava sempre nelle cose importanti e vitali. Anche lei non sprecava neppure un secondo, dedicando ad ogni azione il tempo esatto, necessario. Aggiustare la stanza e l'anticamera, spazzare il cortile, preparare i pasti, lavare, stirare - tutto misurato con precisione, per eseguire ogni lavoro con cura ed in tempo. Perché dappertutto fosse pulito, il mangiare gustoso e, perfino l'indumento pi miserevole,rammendato aggiustato come si deve, lavato e stirato.La ragazza legge le seguenti sorti dei protagonisti.Quando la casa era già pronta ed i Kowalski non avevano ancora bambini, Marianna iniziò a preoccuparsi che non avrebbero conosciuto il sorriso gioioso ed il vocio dei loro figli, ed avrebbero dovuto trascorrere la vecchiaia in solitudine. Così, accolse con grande gioia i primi sintomi che annunciavano il cambiamento di quella situazione. Aspettava tuttavia ad informare il marito, fino a quando non sarebbe stata sicura dei suoi sospetti. In un giorno caldo e solare di agosto, giunse il momento. Si avvicinava l'ora di pranzo e Marianna, come al solito, era andata a Stemplew, dove lavorava Stanislao. Camminava per i campi ed i prati verso il bosco. Per strada aveva dovuto superare un piccolo boschetto. Portava il pranzo
caldo per il marito e si affrettava perché le portate, tolte da poco dal forno, non si raffreddassero. Nonostante il passo veloce, quel percorso era sempre per lei l'occasione per pensare a cose importanti, riflettere sul futuro. Questa volta aveva una cosa in testa. Come sarebbe stato quando la famiglia si fosse ingrandita? AI sol pensiero un sorriso era apparso sul volto della donna. Da qualche tempo
non aveva più dubbi che sotto il suo cuore battesse il piccolo cuoricino del suo primo figlio. Voleva tanto condividere questa notizia con Stachu, ma aspettava il momento buono. Forse oggi? Era così felice, anche se sapeva che, una volta venuti al mondo i
figli, sarebbe stato più difficile mantenersi. Si preoccupava, come una donna, ma non rivelava mai ad alta voce questi timori, perché Stachu non si adirasse.
«Com'è, donna - diceva più di una volta - che non hai fiducia di Dio, che non ci lascerà nella povertà, né ci metterà alla prova oltre le nostre forze? Non provare neppure a lamentarti, perché è peccato. Finché abbiamo mani sane e voglia dì lavorare, non saremo affamati. E nutriremo i nostri figli e insegneremo loro un lavoro onesto».
Marianna non aveva dubbi che il suo saggio e buon marito avrebbe fatto di tutto perché così fosse. Gli era sempre grata per le parole di incoraggiamento, anche se spesso dette severamente, addirittura con durezza, biasimandola per una simile mancanza di fede.Era, a volte, secco, il suo Stasiu, ma lei sapeva meglio di tutti che
aveva un Cuore d'oro. E doveva essere duro, perché la vita non lo risparmiava ed era anche essa dura con lui. Con la testa affollata di simili pensieri, la donna arriva a Stem-
plew, e lì, alla fattoria dove lavora Stanislao. Suo marito aspetta già il pasto caldo. Lavorando duramente sotto i raggi intensi del sole, è già affamato. Ma più di tutto si rallegra del kompot fresco, preparato da Marianna la mattina presto, con mele e pere cotte. Le aveva staccate il giorno prima dagli alberelli che avevano piantato nel
giardino e davanti casa oltre la strada.«Hai visto come hanno portato frutti i nostri giovani meli e peri. E tu dicevi che bisognava aspettare molti anni per dei bei frutti
Stanislao le fa notare il suo scetticismo. - Pere dolci come il miele». Si rallegra del raccolto di casa. «Dolci, ma sugli alberi non ce ne sono troppe. In compenso il melo ha portato frutto come mai fino ad ora», riconosce la donna. «Ricordati, però, che l'abbiamo piantato sette anni fa. È stato il nostro primo albero. Abbiamo dovuto aspettare un po' per questo buon raccolto», ricorda al marito, facendogli capire che aveva ragione parlando di un'attesa dei frutti di alcuni anni «...quasi come
con un figlio», aggiunge un po' più in silenzio. Aspetta palpitando la reazione del marito, ma ha l'impressione che Stanislao non la ascolti più. L'uomo, con un sol sorso, beve metà del kompot, che lei gli aveva versato nel suo boccale di metallo da mezzo litro, e inizia a mangiare l'arrosto profumato di erbe, le patate con il prezzemolo, abbondantemente condite con pezzi di lardo e pancetta. Si vede che il pranzo gli piace, perché mastica accuratamente ogni boccone, per dilettarsi con esso il più a lungo possibile. Mangia tutto, profondamente pensieroso, come se analizzasse ogni ingre-
diente della portata. Infine, allungando le sillabe, quasi senza volerlo, chiede: «Cosa hai detto? Un figlio?», non guarda la moglie, ma immerge ostinatamente gli occhi nel cibo. Marianna, non sentendo su di sé il suo sguardo trivellante, gli risponde con sicurezza: «Anche per un figlio abbiamo dovuto aspettare a lungo. Ma Dio ha ascoltato le nostre preghiere e tra sei, o forse cinque mesi, saremo in tre», dice tutto di un fiato.
Stanislao tace per un lungo istante, dopo il quale, inaspettatamente, fa un largo sorriso e, lisciandosi i baffi, dice più a sé che a sua moglie:«O forse quattro..».Kowalski finisce il pranzo in fretta.«Torna a casa, donna», dice alla moglie con disinvoltura, ma lei
sente preoccupazione nella sua voce un po' mutata. «Vai e riposa, perchè hai fatto un pezzo di strada per portarmi da mangiare dice, e Marianna coglie lo sguardo del marito concentrato sul suo ventre. Prende in silenzio le stoviglie e se ne va.«Abbi cura di te», sente le parole di Stanislao lanciate verso di lei, quasi a malavoglia. Ma lei sa quanto amore nascondono. Ritorna, felice come mai. Naturalmente non è abituata a risparmiarsi, dunque, per strada raccoglie ramoscelli e rami più grandi. Non può
mancare il combustibile per il forno. Domani dovrà preparare di nuovo il pranzo e, forse; cuocerà il pane fresco, che Stachu così ama. È bello guardarlo pregare su ogni pane, e poi, con cura e sacralità, fare il segno della croce col coltello e, solo dopo, tagliare la prima grossa fetta. Inspirare profondamente il suo profumo intenso e poi, lentamente, mordere un boccone alla volta, come se mangiasse non si sa quale rarità. «Anche solo per questo, devo raccogliere la legna!», la donna sorride tra sé e sé. Nello stesso tempo sa che non può tirare così tanto, come fino ad ora. Non può rovinare
né la sua salute, né quella del figlio. Il bambino deve essere sano. Lo hanno atteso così a lungo.
In verità Marianna non ha partorito dei gemelli , un anno dopo anno, sono venute al mondo le prime due figlie, dunque, di fatto, sono diventati presto quattro. E poi sono arrivati i successivi figli. Il Signore Dio, benevolmente, non solo,non ha lasciato i Kowalski senza prole, ma dopo dieci anni d attesa, ha dato loro molti figli. Nel giro di diciott anni, Marianna ha partorito dieci figli. Il 4 gennaio 1902 Giuseppina, nel 1903 Eva, chiamata Eugenia, nel 1905 Helenka, due anni dopo Casimira, nel 1908 Natalia, e nel 1910 Bronistawa. Il primo figlio dei Kowalski è venuto al mondo nel 1912 ed ha ricevuto il nome del padre, e il secondo, Mieczystaw, è nato nel 1915. Un anno dopo hanno festeggiato la nascita di Lucyna e dopo quattro anni, nel 1920 quella di Vanda. Tutti i bambini sono venuti al mondo nella casa di Glogowiec. Sette ancora prima della Prima guerra mondiale, due durante, e la piu piccola, Vanda, dopo la guerra. Purtroppo, la medicina non era allora molto sviluppata. Molte malattie non erano curabili. Per questo, probabilmente, le due figlie dei Kowalski, Kazia e Bronia, sono morte alcuni mesi dopo la nascita.
Sulle foto della casa di Marianna e Stanislao fatte dopo la Seconda guerra mondiale. Sia l'esterno, che l'interno, appaiano un po' diversi da com'erano quando vi abitava la piccola Helenka. Nelle foto il tetto non è coperto da paglia, ma da tegole. E stata eliminata l'entrata dalla strada e la parte di recinto rimasta da quel lato è abbastanza mal messa. Nel giardino, invece degli alberi da frutto crescono due possenti frassini. Avevano dovuto demolire la stalla ed il fienile. Un interno era stato ristrutturato. In quel tempo, infatti, vi abitavano Marianna con Eugenia, adulta e sola, e Mieczystaw, con la moglie e sette figli. La struttura della casa era stata dunque adattata alle loro esigenze.
Nelle note, l'autrice del libro si serve di informazioni di persone che la ricordano dai tempi prima della guerra. Tra gli altri, Maria Gotygowski, la figlia più piccola diGiuseppe, descrive la casa dei Kowalski. Dai suoi ricordi risulta che la casa era arredata in modo molto pratico. Era fatta da una grande cucina, un sala spaziosa e due anticamere. Una, che legava la cucina con la sala, dava sulle porte frontali e sull'uscita sulla strada davanti casa. Dall'altra si usciva dalla cucina sul cortile. In questa, accanto alle porte, c'era una mangiatoia per schiacciare le patate per gli animali ed una scala per arrivare sulla soffitta, dove si conservavano diverse cose. In una cucina imponente c'erano due letti; uno accanto alla parete più alta, dalla parte del pozzo, e l'altro accanto a quella che la collegava con l'atrio del cortile. Sotto la finestra sulla parete frontale della casa c'era un tavolo con le sedie. Da lì si dilatava lo sguardo sui campi ed i prati dei Kowalski, che iniziavano appena oltre la strada e si estendevano fino al bosco. All'altezza del tavolo, a destra, c'erano le porte sull'atrio, attraverso il quale si usciva
sulla strada di fronte, oppure si passava alla sala. In cucina, sulla parete confinante con l'atrio di fronte, erano stati costruiti i forni: uno per riscaldare la casa, l'altro con una lastra di ghisa per cucinare ed uno ancora, a parte, per il pane. Sotto la finestra che si trovava di rimpetto, con la vista sul cortile ed il giardino, c'era una panca. D'inverno era quello il posto più caldo della casa. Maria Gotygowski ricorda dell'infanzia, che non era possibile dormire nella sala in quella stagione, quando non c'era il forno, senza delle trapunte spesse e delle bottiglie di acqua calda per riscaldare il letto, le lenzuola e, prima di tutto, chi vi dormiva. Mobili semplici e robusti di legno scuro riempivano la sala. Di rimpetto all'uscita c'erano due grossi letti, e tra di essi un comò con delle statuette di porcellana di Gesù e Maria ed un piccolo crocifisso di metallo. Sotto la finestra c'era la culla.In mezzo alla stanza c'erano un grande tavolo e delle sedie robuste. A sinistra della porta, accanto alla finestra c'era un armadietto a vetri con il servizio da tavola per la festa, dall'altro lato dell'entrata, invece, accanto alla parete confinante con la cucina, un armadio per i vestiti. Sui parapetti delle finestre c'erano dei vasetti di folti asparagi. Evelina trova un frammento del libro che racconta dell'infanzia di Helenka e dei suoi fratelli. È un tardo e freddo pomeriggio invernale, dietro la finestra si fa notte. Tutti in casa siedono in cucina, luogo accogliente e caldo.Non solo lo scoppiettio del legno che arde nel forno, ma anche il profumo di un dolce lievitato, accentuano l'atmosfera di famiglia. Stanislao lavoricchia nella sua bottega, e Marianna, affaccendata con la sua figlia più piccola, Natalka, in braccio, prova di continuo a quietare le figlie più grandi. Dopo un successivo richiamo della mamma, Helenka, di tre anni, rinuncia a rincorrersi con Eugenia, di cinque, e Giuseppina, di sei. Si ferma in silenzio vicino alla bottega del papà ed osserva il suo lavoro. Ammira i movimenti precisi del papà. Vorrebbe chiedergli cosa fa, ma sa che non può disturbarlo quando è impegnato.Stanislao per un lungo istante non si accorge di essere così attentamente osservato. Quando infine si accorge della figlia, decide di scherzare con lei. Le dice dunque:«Tu non sei mia, dovresti prepararti ad andartene da casa».La ragazzina lo guarda con serietà e gli chiede: «Allora di chi sono?».E lui, continuando a scherzare: «Sei di Kasprzak».Helenka per un attimo è quasi morta. Guarda attentamente il papà, ma lui non le parla più, né ride, allora lei si gira e, senza dire una parola, abbandona la cucina. Va nella sua stanza, raduna le sue cose in un fagotto ed esce di casa, per andare da "Papsiak', come chiama il vicino dei Kowalski. Lo fa perché il papà glielo ha ordinato! Solo Marianna, che si è dispiaciuta per la figliola, la fa tornare indietro. Messo Natalka nella culla e indossato in fretta un fazzoletto di lana, corre dietro a Elena. Deve rassicurarla che il suo papà aveva solo scherzato. Allora la piccola torna a casa e non avrà alcun rancore verso il padre per quel brutto scherzo. «Oh, come cinguettavano da noi gli uccelli - trova un ricordo di Marianna- più intensamente la mattina presto. Ma i loro suoni non erano cosi sonori come la voce di mio marito, che ogni giorno alI'alba cantava la liturgia delle ore per l'Immacolata Concezione della Santissima Vergine, Quando si leva l'alba mattutina, e durante la Quaresima, Le Pene Amare. Fino a quando non avevamo figli ed abitavamo da soli non mi disturbava. Mi piaceva perfino il suo canto, In dieci anni di matrimonio mi ero abituata ad esso. Ma quando sono venute al mondo le figlie ed i figli, ha iniziato ad infastidirmi. A volte mi innervosivo perfino, quando dopo un duro glomo di lavoro volevo dormire ancora, e niente da fare. Mi dispiaceva per i bambini. Ma Stanislao era inflessibile. Quando lo rimproveravo, rispondeva fermamente che lo faceva proprio per loro."Donna - diceva - voglio dare loro il buon esempio, dunque devo prima di tutto servire Dio e poi pensare a voi ".«La fede era molto importante per lui , la si onora Kowalski racconta del marito. - lo stessa, nonostante non sappia né leggere, né scrivere, ho insegnato alle figlie ed ai figli le verità evangeliche, curando che conoscessero e, prima di tutto, mettessero, in pratica il comandamento dell'amore al prossimo. Stanislao dava loro l'esempio con la preghiera quotidiana e la partecipazione doverosa alla Messa domenicale. Entrambi infondevamo nei bambini Ia morale cristiana ed esigevamo rispetto per le cose di Dio». Helenka, a cinque anni, addobbava altarini, quando i suoi coetanei si divertivano con giocattoli improvvisati. Raccontava ai fratelli e alle sorelle i sogni sulla Madre di Dio che le appariva in un bel giardino. Assicurava più vicini che una volta sarebbe andata dai "pellegrini": eremiti che abitavano nel bosco. Li conosceva dai libri che il padre aveva letto e li associava, per intuito, alla vita consacrata a Dio. Nel suo circondario non c'erano conventi; non aveva incontrato né suore né frati, dunque non poteva sapere niente della loro vita. Già dalla più tenera età, desiderava diventare una grande santa. Helenka, a pochi anni, raccoglie fiori intorno alla casa, per addobbare le immagini sacre appese in casa, le cappelle per strada, gli altarini fatti da mano di bambino, a casa o nel giardino. La ragazza sorridente e felice, con un misero vestito, corre allegramente, cercando piante in fiore, verdi e colorate. Cerca di trovare il maggior numero possibile di fiori, i più belli, che piacciano a Gesù e Maria. Canticchiando canzoni religiose, addobba le cappelle, i luoghi con immagini divine, la croce e Ie effigie sacre a casa. Invita volentieri i bambini agli altarini adornati, per pregare insieme. È l'anno 1912. Helenka ha sette anni. Un giorno d'autunno volge alla fine. Un sole debole e timido, per quella stagione, si fa strada tra le nuvole, con le forze rimanenti, e dà segno di se . Tuttavia i raggi fanno sì che all'aperto non sia troppo freddo. Nel campo c'è sempre meno lavoro.E riuscita a finire i compiti per casa e allora, con il permesso della mamma, Helenka corre per il sentiero tra i campi mietuti e deserti, verso Swinice, in chiesa. Vuole fare in tempo per i Vespri. Sempre, in situazioni simili, le gambe la portano da sola. Anche questa volta le riesce a essere in chiesa prima del tempo. Alcune persone appena occupano le prime panche. C'è un poto libero davanti all'altare laterale, dove è esposto il Santissimo Sacramento. Helenka si inginocchia lì, per essere il piu vicino possibile al Signore Gesù nell'ostensorio. Proprio allora aveva sentito nella sua anima e nel cuore una voce che la invitava ad una vita perfetta. Quel giorno, per la prima volta, l'amore di Dio le si era concesso, riempiendo il suo piccolo cuore. Il Signore aveva fatto si che sentisse la sua vicinanza. Non capiva allora le intenzioni ed i propositi di Dio nei suoi confronti, ma sentiva che le era accaduto qualcosa di grande, che avrebbe cambiato la sua vita. Non era capace ancora di dare un nome a quella voce che chiamava ad una vita conventuale. Del resto, come poteva saperlo, visto che oltre al parroco di Swinice nessuno aveva mai visto alcun religioso. Non aveva idea dell'esistenza di ordini religiosi. Ma l'intuizione le suggeriva che una vita simile esisteva e le era destinata.
Dalla ampia stanza ordinata con cura, utilizzata come abitazione per tutta la famiglia Kowalski -la ragazza legge ad alta voce, pel memorizzare meglio ogni parola- arriva il piagnucolio del neonato. Accanto alla culla, nella quale il piccolo Stas piange, rimuo- vendo i pannolini ed il fazzoletto di lana della mamma, due bambine, Giuseppina di dieci anni ed Eugenia di nove, hanno disposte le loro bambole di strofinacci ed i giocattoli di carta. Si divertono astrapparsi il ragnetto di paglia.
«E mio, mio», entrambe tirano il pupazzo fino a disfarlo in pezzi di paglia.
«Helcia, tu preghi e preghi, di certo sai gia tutto dal Signore Dio. Dicci di chi è il ragnetto?», la figlia più grande dei Kowalski, Giuseppina, grida alla terza sorella in piedi, in silenzio, nel posto più importante della stanza, accanto all'altarino con la croce e le im
magini di Gesù e Maria.
«Dillo, altrimenti facciamo a pezzi non solo il ragnetto, ma anche la tua bambola preferita, che hai fatto con vecchi ritagli di stoffa e non volevi vendere nel tuo buffo negozietto», Eugenia la intimidisce in modo provocatorio. « Fate quello che volete - risponde tranquillamente la piccola Hela. lo ho già giocato, ora ho altri impegni». Delicatamente, con rispetto, tocca gli oggetti sacri. Aggiusta i fiori di campo nel piccolo vaso. Toglie quelli appassiti perché non rovinino il decoro di quel posto speciale. Giuseppina, seduta sul pavimento, si sposta dietro di lei, e, trovandosi già accanto alle gambe della sorella più piccola, le tira forte le maniche. «Lasciami stare, perché rovino l'immagine e la mamma si arrabbierà". Helenka rimprovera delicatamente la sorella. Difendendosi da entrambe le ragazzine, come da mosche moleste, esce di casa. Si reca verso il pero che cresce davanti casa e guarda la piccola cappella appesa all'albero. Le sorelle maggiori la rincorrono, schiamazzano e ruzzolando. "Silenzio- insiste la sorella più piccola. - Meglio che preghiate con me. Che chiediate al Signore Gesù la salute e le forze per i nostri genitori, che devono lavorare così dramente per darci da mangiare e per tutto quello di cui abbiamo bisogno". Quasi in risposta a questo richiamo, così maturo per una bambini di sette anni, arriva dalla cucina la voce della mamma: «Giuseppina, Eugenia, Helcia, che vi prende. Venite qui subito ad aiutarmi a preparare il pranzo. Oggi papà sgobba, dall'alba, dall'altro lato del paese. Tra poco dovrò portargli da mangiare e qui non è pronto niente. Datevi da fare! - Marianna mette sotto le figlie. Per prima è accanto a lei Helenka, subito pronta ad aiutare. Le figlie maggiori, scimmiottando la sua obbedienza, si fanno vive in cucina. «lo, però, non potrò aiutare a lungo, perché devo pascolare le mucche»,spiega Giuseppina alla mamma, mettendo in risalto il peso degli impegni che l'aspettano ancora quel giorno. «Bene, bene - conclude Marianna - fai in tempo ad aiutare in cucina e a pascolare le mucche. Neppure Eugenia ed Hela ozieranno, perché bisogna occuparsi di Natalka e del piccolo Stas». «Di me non dovete occuparvi, faccio da sola», da sotto il tavolo arriva la voce della figlioletta dei Kowalski di quattro anni, che si è nascosta vicino alla mamma, con una bambola di stoffa, per evitare la battaglia per i giocattoli con le sorelle maggiori e più forti.
È già scesa da tempo la notte su Glogowiec. La campagna profondamente addormentata si è fusa nel blu scuro del cielo, solo a tratti illuminato dalle stelle e da un sottile spicchio di luna nuova. Qua e là l'aria è intessuta del cinguettio notturno di un uccello, sporadicamente abbaia un cane, dal bosco giungono le voci smorzate di animali selvaggi. Nella casupola dei Kowalski regna da tempo il silenzio. Perfino Stanislao ha concluso da un po'i suoi lavori nella fattoria ed è andato a dormire in cucina, dove d'estate ci sono due letti, perché i genitori possano riposare tranquillamente prima di un nuovo e duro giorno di lavoro. D'inverno, al posto di uno di essi, c'è la bottega da falegname dei Kowalski, per realizzare, al caldo, le ordinazioni più urgenti. Anche Marianna si è disposta comodamente a dormire, ma è molto vigilante. Reagisce immediatamente al lamentio di Stas al gemito di Natalka, o ad altri rumori dalla stanza nella quale dormono i bambini. Non vuole che cosa alcuna disturbi il riposo del marito. È lui che guadagna per mantenere la famiglia sempre più numerosa. Alle orecchie materne sono giunti appena dei mormorii, il cigolio di un letto; la donna, allora, infila silenziosamente i piedi nelle pantofole da casa e, senza fare rumore, va nella stanza. Nella culla il più giovane, Stas, dorme di gusto. Su un letto ampio e robusto sotto la finestra, Giuseppina ed Eugenia sono immerse in un salutare e profondo sonno. Dall'altro letto arriva il respiro tranquillo e regolare di Natalka raggomitolata. Solo Hela non è a letto, è seduta e borbotta qualcosa. Marianna si ferma accanto a lei e con disappunto, anche se sottovoce, per non svegliare nessuno, rimprovera la figlia: «Te ne uscirai di testa a forza di non dormire e svegliarti di notte. Dormi!». Ed Elena: «Forse no, mammina, forse l'Angelo Custode mi sveglia perché non dorma e preghi ». Purtroppo, non tutti i figli dei Kowalski fecero tesoro dell'insegnamento dei genitori come Helenka. Solo lei, quando andava a confessarsi, chiedeva prima scusa al papà e alla mamma. E si confessava ogni domenica. Quando andava in chiesa, i giorni in cui riceveva la Comunione, baciava le mani dei genitori. Gli altri figli invece non lo facevano. «Quando arrivava la domenica, lei si alzava presto e, per non svegliare nessuno, usciva silenziosamente, prendeva le mucche e le portava al pascolo - racconta Marianna. - Destatosi il padre e viste che non c'erano nella stalla, si spaventò pensando che di certo i ladri gli avevano rubato la scorta di bestiame».
«Dopo un attimo, essendosi accorto che Helenka non c'era, Stanislao aveva intuito chi lo aveva fatto così spaventare - continua il racconto la signora Kowalski. - A causa dell'arsura non c'era erba nei pascoli e bisognava guidare le mucche per uno stretto ciglio. Non era un compito facile dar da mangiare a tutte e tre contemporaneamente, guidandole con una fune perché non facessero danni nei campi di grano. Ma Helenka ci era riuscita ed aveva fatto in tempo per andare in chiesa. Le mucche pascolate, il ciglio ripulito dalla rugiada e dall'erba brucata, e nei campi di grano nessun danno.
Lo aveva fatto la figlia migliore, perché tutta la famiglia potesse andare alla stessa santa Messa». Il tema dell'Eucaristia torna nelle testimonianze di molte persone citate dall'autrice del libro. Da esse risulta che non tutte le figlie dei Kowalski potevano andare ogni domenica a Messa, perché non possedevano abbastanza vestiti per la festa. In quella situazione Helenka, portando fuori le mucche all'alba, voleva meritare quel premio. Capitava, tuttavia, che nonostante la sua religiosità e laboriosità, i genitori dovevano farla restare a casa perché andassero alla santa Messa le altre ragazzine. Allora prendeva il libro delle preghiere ed andava in un angolo per recitarle tutte. A volte Marianna si arrabbiava con lei per questo, perché aveva bisogno del suo aiuto per accudire i figli più piccoli, oppure per sbucciare le patate. Quando la sgridava, lei
abbracciava la mamma e con bontà diceva: «Mammina, non ti arrabbiare, perché il Signore Gesù si arrabbierebbe di più se non lo facessi». A volte, quando tornava dalla chiesa, la signora Kowalski le permetteva di andare dalle amiche a divertirsi. Lei acconsentiva con gioia, ma invece di andare da loro, andava nel giardino dove si era fatta un altarino, e lì pregava. «A volte le altre ragazze la incitavano ad andare a qualche festa da ballo di campagna , Rispondeva sempre che doveva chiedere a suo papino. A volte le chiedevo: "Perché non ti piacciono la musica ed il divertimento?". E lei mi rispondeva: "Mammina, io penso ad altro, io andrò con i pellegrini lontano".
Santa Comunione
Nei suoi ricordi, la figlia maggiore dei Kowalski, Giuseppina, dedica molta attenzione ad un avvenimento che ha avuto luogo nell'anno 1914. Helenka aveva allora nove anni. L'anno prima aveva iniziato a frequentare le lezioni di religione che amava molto e alle quali si preparava seriamente. Con gioia ancora maggiore aveva detto ai genitori che era stata ammessa alla Prima Comunione. Dopo un anno di preparazione, il parroco don Romano Pawlowski le aveva permesso di ricevere il Signore Gesù. A quell'importante evento l'aveva preparata prima la mamma, insegnandole le verità della fede e mostrando col suo esempio come deve amare Dio. Poi, il parroco aveva continuato la sua educazione religiosa. Aveva vissuto intensamente quel giorno eccezionale. Cosi intensamente che non era tornata a casa con gli altri bambini, ma da sola.
Per una strada stretta tra i campi ed i prati, che porta dalla chiesa di Swinice a Glogowiec, cammina con passo gagliardo una bambina di nove anni, vestita con modestia, ma a festa – l'autrice del libro racconta quest'episodio. – Non si distingue per niente di particolare, se non per la sua faccia radiosa, come se avesse incontrato la felicità più grande. Ha la mano destra sul cuoricino che batte forte. Avvicinandosi agli edifici rallenta il passo, per prolungare la gioia di quel bel momento. Torna per ultima dalla Messa solenne, durante la quale don Romano Pawlowski ha amministrato il sacramento della Prima Comunione ai bambini del posto. Questa volta non va per le scorciatoie attraverso il bosco ed i campi, come fa di solito. Un po' per camminare più a lungo, ma anche per non rischiare, procedendo attraverso i cespugli, l'erba alta e il grano, di mettere a disagio la Persona così importante con la quale cammina. Helenka ha scelto la strada più larga, perché sia più solenne del solito, di quando si affretta alla liturgia del mattutino che precede la santa Messa, o torna di fretta per aiutare la mamma nei lavori di casa. Oggi si sente come se procedesse su un tappeto rosso, piuttosto che su un sentiero di campagna. Supera la curva tra gli alberi che porta, con un ampio arco, alla strada dritta verso casa sua. Lì vicino raggiunge la vicina Bereziríski che torna dalla Messa. Si ferma per riposare, perché la lunga marcia l'ha stancata un po'. Vedendo Helenka gioiosa, ma solitaria, avanzare, la donna chiede stupita: «Perché cammini da sola?».
«Non cammino da sola – la ragazza è sinceramente stupita delle parole della vicina. – Cammino con il Signore Gesù» –, risponde; il suo tono ed il suo atteggiamento testimoniano una presenza di Dio accanto a lei, che dovrebbe essere per tutti così evidente, come il sorgere del sole ogni mattina ed il suo tramonto. La conoscente china il capo riflettendo sulle parole della piccola Kowalski e va verso casa. Questa donna saggia, moglie di Venceslao Bereziríski, il secondo abitante di Glogowiec, dopo Stanislao Kowalski, che sa leggere, non giudica in fretta il comportamento della bambina. Non si sforza di commentare. Se ne va pensierosa, e forse ispirata dal parlare di una bambina di nove anni.
Giuseppina, raccontando di quel giorno, si ricorda ancora come era felice sua sorella. Come irradiava gioia e cercava di essere, con tutti, migliore del solito. La sera, quando erano già a letto, Hela tornava di continuo agli avvenimenti della mattina, legati alla Prima Comunione.
Dopo la Prima Comunione, Hela si era avvicinata ancora di più a Dio ed aveva cominciato ad adempiere coscienziosamente le pratiche religiose – legge le conclusioni dell'autrice, tratte dai ricordi dei Kowalski. – Non aveva cura solo di sé, ma anche dei fratelli e delle sorelle. Il suo zelo stupiva perfino il padre, che era per lei un modello di religiosità. Tutti vedevano come cambiava. Evita-_, va la gente, non tornava con i bambini dalla chiesa, si separava da-' gli altri. Sempre meglio adempiva ai suoi doveri ed invitava i fratelli e le sorelle a fare lo stesso. E quando non se ne preoccupavano troppo, li sostituiva in alcuni impegni. Amava sempre alleggerire il lavoro altrui. A volte faceva alcuni lavori al posto dei fratelli e delle sorelle, affrettandosi, perché i genitori non si dispiacessero, poiché la loro richiesta non era stata esaudita. Era anche pronta a prendere su di sé le colpe dei fratelli e delle sorelle. Ma i genitori non si facevano ingannare. Si accorgevano che non era colpa sua. In questo non si riusciva a imbrogliarli, ma chiudevano un occhio, perché, se Helenka voleva in questo modo avere meriti davanti al Signore Dio, loro non glielo avrebbero impedito. I ricordi di Marianna, utilizzati nel libro, si alternano alle testimonianze dei suoi figli. Ognuno di loro ricorda situazioni diverse. Il fratello di Elena, Stanislao, ricorda: «Fin dalla tenera età, aveva la propensione a raccontarci di santi, pellegrini ed eremiti, che mangiavano solo radici, bacche e miele di bosco. Suppongo che tirasse fuori queste cose dalla sua immaginazione e non dai libri, che aveva iniziato a leggere solo più tardi, quando aveva cominciato ad andare a scuola. Allora, volendo far contento il papà, prendeva dalla modesta biblioteca le storie dei santi, o altri libri di carattere religioso, e leggeva ad alta voce. Nel conoscere il destino degli eremiti e dei missionari, fissava tutto nella memoria, in modo tale che il giorno dopo, pascolando il bestiame, ci raccontava, parola per parola, le storie memorizzate. Era capace di raccontare dall'alba al tramonto, infaticabilmente, e con una tale enfasi, da superare perfino l'autore. Diceva a noi bambini che, quando sarebbe cresciuta, sarebbe andata in convento, e noi ridevamo di questo. Non la capivamo». Le sorelle Giuseppina ed Eugenia raccontano una storia divertente e istruttiva. Una volta, una mendicante si era fermata davanti alla porta di casa. 1 suoi cenci ed il suo aspetto povero non destavano il minimo dubbio sul fatto che la sorte l'avesse duramente provata e fosse molto bisognosa. Marianna aveva provato pietà per quella ragazza ed aveva preparato per la poveretta un fagotto con del cibo. La mendicante andava in giro per Gfogowiec chiedendo elemosina, cibo o un aiuto. Cercava anche un posto per dormire. Purtroppo le avevano proposto un pernottamento solo nella penultima casa del paese, dagli Stasiak. Tutti gli altri si erano liberati di lei o l'avevano cacciata. Quando era scesa la notte, la mendicante si era di nuovo presentata dai Kowalski e allora avevano scoperto che era Helenka, nascosta sotto un vecchio vestito logoro della mamma. In casa erano rimasti tutti senza parole. Nessuno l'aveva riconosciuta. E lei, andando con tenacia di casa in casa, voleva, attraverso quel travestimento, sperimentare la sorte di quelli che devono elemosinare. Aveva conosciuto, in quel modo, le umiliazioni ed i dispiaceri che si incontrano. Nello stesso tempo, aveva raccolto offerte per i poveri, che aveva dato interamente al sacerdote. La cosa che più la toccava era il fatto che nessuno aveva voluto accoglierla per la notte. La preoccupava il fatto che gli uomini fossero così poco sensibili alla povertà e che i poveri ed i senza tetto dovessero sopportare quei dispiaceri. Per questo, anche quando la mamma non sapeva cosa dare ad un povero, Helenka trovava sempre qualcosa e soccorreva tutti quelli che chiedevano aiuto. Il fratello, MieczysIaw, ricorda la lotteria che aveva organizzato sua sorella per i bisogni della parrocchia e dei poveri. Per ottenere il maggior numero possibile di premi, andava in giro per tutto il paese, visitava, uno dopo l'altro, gli abitanti e raccoglieva tutto quello che le offrivano. Lei stessa faceva statuette d'argilla. Fabbricava i biglietti e li vendeva per pochi soldi. I rimanenti doni ed i giocattoli fatti a mano, li vendeva a poco prezzo in un negozietto allestito da lei. Non guadagnava molto, e gli adulti la prendevano in giro, perché si dava tanto da fare e guadagnava tosi poco. Ma questo non la scoraggiava.
Apriva di continuo quel suo buffo negozietto – Marianna ricorda l'idea di Helenka sulla quale a volte scherzavano a casa. – Un banco di assi di legno incollate, poggiato su due grandi pietre, ritagli di vecchi tessuti inutilizzati distesi sull'erba per disporvi i prodotti, un tronco di pino, sul quale sedeva, mentre vendeva i suoi piccoli prodigi di manifattura. Questo era il suo negozio. Vi portava giocattoli di carta e stoffa e chiamava i bambini del paese perché li acquistassero da lei. Tutto quello che le davano lo destinava ai più poveri. Lei stessa aveva poco, ma amava condividere tutto con gli altri.Un vento leggero spazza le nuvole su Glogowiec, come se volesse fare posto ai pigri raggi di sole, che non riescono ad attraversarle. Il pomeriggio domenicale concede un attimo di riposo. Per la strada, di tanto in tanto, qualcuno procede solitario. Con passo più lento, passeggiano gruppi più grandi. Marianna e Stanisiao sono seduti nel cortile, sulla panchina che il Kowalski ha messo insieme alla svelta, per la famiglia ed i vicini, per i rari momenti di relax. Un attimo prima vi si sono accomodati i Bereziríscy, che, andando a trovare dei conoscenti, si erano fermati un attimo per parlare. Venceslao, che legge attentamente le gazzette del giorno, le riviste ed i volantini occasionali, che raramente raggiungono il paese, condivide le sue riflessioni sullo scoppio della guerra, la situazione al fronte, le battaglie in corso in diversi paesi d'Europa. La tormenta bellica raggiunge i successivi paesi, seminando distruzione, morte e caos. Muoiono soldati, vengono chiamati alle armi i giovani, i vecchi temono di perdere il tetto sulla testa, i beni e soprattutto qualche parente prossimo. Stanislao e Marianna ascoltano questi rapporti, rallegrandosi in cuor loro che i loro figli sono ancora bambini. Con sollievo osservano i loro giochi spensierati, le loro rincorse nel cortile. Elena si avvicina alla panchina sulla quale sono seduti gli adulti. Come sempre raccolta e tranquilla, anche se felicemente sorridente. I capelli biondoscuri, con riflessi rossi, le cadono alla rinfusa sulle spalle. La faccetta lentigginosa dal bell'aspetto, serena e benevolmente sorridente, suscita simpatia e fiducia. Gli occhi verde-grigi, dolci, scintillanti di gioia infantile, inchiodano lo sguardo.
«Forse ci racconterai qualcosa di più allegro — Si rivolge a lei Venceslao Bereziriski. — Di solito ti circonda una nuvola di bambini, che ascoltano con interesse le tue storielle. Anche noi le ascoltiamo volentieri». Helenka, obbedientemente, si ferma accanto al padre ed inizia a condividere le sue riflessioni attinte dalla predica del giorno del parroco. Citandolo parla in modo interessante del significato della preghiera nella vita dei grandi santi, re, sovrani, ed uomini importanti. Le sue parole, scelte con cura, suscitano l'interesse delle persone che la ascoltano.D'un tratto il piccolo Mieciu, di poco meno di due anni, correndo alla cieca, finisce addosso alla sorella. Le afferra la gonna e la tira verso il giardino.«Vieni, vieni presto, il gallinaccio si è rotto una zampa», dice in fretta e confusamente, riprendendo fiato in fretta.«Scusate», Elena si rivolge ai vicini ed ai genitori, interrompe il suo racconto e corre col fratellino.Di fatto, uno dei polli zoppica e si comporta in modo strano. La ragazza si avvicina con calma per non spaventarlo, allunga con cautela il braccio e prende il pollo in mano. Tocca delicatamente le sue zampe e le osserva. I bambini che corrono nel cortile la circondano. Chiede a Giuseppina e Gienia, che giocano con le altre ragazzine, di portarle un pezzo di tela di lino pulita. Ai ragazzi comanda di cercare un pezzetto di asta sottile, o una piccola stecca. Parla con tenerezza all'animale, cercando di tranquillizzarlo e non spaventarlo. Quando le sorelle tornano, strappa il materiale in strisce sottili, con le quali avvolge la zampa malata del gallo, dopo averla assicurata con una piccola stecca. Invita ancora i bambini a portarle un podi semi e di acqua in un piccolo contenitore. Nutre l'animale malato e gli dà da bere. Per l'occasione le ragazze hanno trovato in cucina i resti del pranzo, allora Elena chiama il gatto che gironzola per i dintorni ed il cane affamato e randagio, per dare loro da mangiare e da bere. Dalle scodelle sparisce tutto in fretta; gli animali, grati, si stringono alla loro benefattrice, si strofinano sulle sue gambe, le leccano i piedi e le mani.Quando un uomo o un animale sono nel bisogno Elena è la prima a soccorrerli.«Avete una figlia buona, umile e molto innocente», dice la signora Berezifiski.Queste parole rallegrano Marianna, che però si rende conto di quante volte non capisca sua figlia, e perfino si arrabbi con lei. In particolare, quando ha alcune visioni strane. Quando era piccola, raccontava spesso alla mamma di alcuni sogni e di una certa luce che le appariva davanti agli occhi. Allora Kowalska la richiamava: «Che dici, ti capita sempre qualcosa». Non avendo trovato com¬prensione, né sostegno, lei aveva smesso di confidarsi. Ora è diven¬tata ancora più riservata. Marianna la osserva, e vede che nella sua piccola anima accade qualcosa, ma non vuole chiederglielo, né costringerla a confidarsi. Si accontenta di quello che la figlia le dice e, purtroppo, non riesce ad aiutarla. Dagli appunti di suor Faustina, scritti nel Piccolo Diario 7, riguardanti le sue prime intuizioni divine, risulta che, né nell'infanzia né in gioventù, aveva incontrato nessuno che avesse potuto spiegarle quelle cose. Non era capace di parlarne né con i genitori, né con i fratelli e le sorelle. Sebbene, da quando aveva otto anni, andasse volentieri alle lezioni di religione, dove don Romano Pawlowski radunava i bambini due o tre volte alla settimana, neppure lì erano riusciti a spiegarle quello che non capiva. In principio, questa era la sua unica educazione. Era andata a scuola, infatti, solo più tardi, perché prima, durante l'occupazione russa, non c'era stata la possibilità. Aveva studiato tre anni, ma anche in quel periodo nessuno aveva spazzato via i dubbi che si accumulavano nella sua anima.
Alunna non realizzata
Annotando i compiti dell'insegnante per casa, Helenka stringe forte la piccola matita che, di giorno in giorno, ad ogni appuntatura, scompare nella sua mano sempre più grande, quasi da donna Evelina continua a leggere il libro. Tra poco non avrà con che scrivere, né su cosa scrivere, ma si vergogna di chiedere ai genitori di comprarle l'occorrente per la scuola. Non hanno a sufficienza per dar da mangiare a tutti i familiari. I figli indossano a turno i vestiti. Il padre lavora giorni interi fino a notte. La mamma risparmia Su tutto. Non si compra niente, adatta i suoi abiti e le sue gonne a vestiti per le sue bambine. Helenka è così assorta, che non si accorge quando la classe si è svuotata. «E tu cosa fai seduta, Kowalska? L'insegnante ha finito di scrivere i suoi appunti nel registro di classe e vuole chiudere l'aula. Prendi le tue cose, fine della lezione, è tempo di andare a casa a riposare». «Sì, sì, vado», risponde rapidamente e prende in fretta le sue cose perché l'insegnante non debba aspettarla troppo a lungo. «Ero assorta», aggiunge, in piedi accanto al banco di scuola. Vuole spiegare la sua distrazione. «Non pensare troppo, ché ti si confondono i pensieri a forza di meditare. Comunque, non diventerai Pitagora scherza l'insegnante, volendo divertire l'alunna mesta. Farai prima a diventare una santa, piuttosto che una grande saggia», ride della ragazza capace e assidua, facendole l'occhiolino e dandole un colpetto leggero sulla spalla. Con stupore, si accorge di non averla fatta divertire, ma piuttosto di aver provocato il suo stupore, visibile sul volto. «Come fa a sapere dei miei sogni? – riflette Hela. – Non ho mai detto a nessuno che, dall'infanzia, non ho desiderato niente altro che diventare una grande santa». Non ha tuttavia il coraggio di chiederlo, così si congeda educatamente ed esce dalla scuola. Passando accanto alla chiesa, vi entra per inginocchiarsi, almeno un attimo, di fronte al Santissimo Sacramento. Prega ringraziando Dio per un nuovo giorno, chiedendo la salute e le forze per i genitori, i fratelli e le sorelle. Davanti all'altare, il tempo passa così velocemente, che la ragazza, dopo essere uscita dalla chiesa, si affretta con passo svelto verso casa. Sente che si è fatto tardi. La mamma l'aspetta come chi aspetta la salvezza. Non di rado, confessa quale bisogno ha di lei, perché si occupi delle sorelle e dei fratelli. Precipitandosi, quasi di corsa, nel cortile, per poco non inciampa su Stasiu, che piange accovacciato sotto lo steccato. Il bambino di sette anni alza il visetto imbrattato, volgendo gli occhi pieni di lacrime sul volto della sorella. Hela si rannicchia su di lui per abbracciarlo e chiedere cosa sia successo, ma il ragazzo scappa in un angolo del giardino. La ragazza entra in casa. In cucina i bambini stanno seduti zitti zitti sulla panca sotto la finestra, la mamma si affaccenda silenziosamente vicino al forno, e il padre consuma il pranzo in silenzio. Elena non ha neanche il coraggio di chiedere cosa sia successo, ma sente che una nuvola di grandine gravita sulla loro famiglia. Saluta il padre e la mamma, poi prende Natalka, Mieciu e Lucynka nella stanza dove di solito organizza dei giochi per loro, o legge dei libri per tenerli occupati. Solo Lucynka, di tre anni, non è investita dall'umore "nero" della famiglia. La sorella più piccola le sorride e allunga la mano. Hela la prende sulle sue ginocchia. «Papà è molto nervoso –Natalia la informa con un sorriso. – Stas ha spezzato i rami di salice del vicino, sai, accanto al nostro campo, ed è successo un pasticcio», la sorella minore alza le braccia e disegna un cerchio per mostrare l'ampiezza della scenata casalinga. Elena immagina in che modo severo il padre ha punito il fratello; sa quanto è duro e intransigente, quando qualcuno di loro la combina grossa. Soprattutto quando, a causa loro, soffre una persona estranea. I genitori ripetono incessantemente che non si possono fare cose che feriscono gli altri. «Peccato che non c'ero – parla più a se stessa, che ai fratelli e alle sorelle – avrei tenuto d'occhio Stas, o almeno lo avrei difeso dalle botte e dall'ira di papà». «Non avresti fatto niente – dice seriamente Natalia. Papà oggi è molto arrabbiato e nervoso». «Di certo a causa di questa nostra povertà, del lavoro duro e dal-l'affaticamento», pensa Hela, senza tradire le sue supposizioni. Più di una volta, aveva sentito il padre dire alla mamma che bisogna preparare Stachu a lavorare, invogliarlo ad aiutare nella battitura del grano, con un piccolo correggiato, perché lui da solo non ce la faceva più. Oggi il padre avrà usato l'argomento che usa spesso, – immagina la ragazza – dicendo che, quando i figli non hanno lavoro, inventano stupidaggini. Elena non lo incolpava per il suo modo severo di pensare. Sapeva che, prima di tutto, voleva che i suoi figli diventassero, crescendo, brave persone.
Ha il rimorso di andare a scuola, invece di aiutare i genitori che hanno così tanto bisogno di lei. Aveva già dodici anni, quando aveva inviziato a studiare. Proprio allora, nel 1917, si era aperta la scuola a Sanice presso Warka. Lì, si era trovata subito bene. Non marinava mai. Partecipava assiduamente a tutte le lezioni ed ascoltava con attenzione quello che diceva l'insegnante. Voleva sempre imparare a memorizzare il più possibile. Ed aveva una buona memoria.Una volta, durante la visita dell'ispettore, aveva recitato tutta la poesia: "Il ritorno del padre". L'aveva fatto così bene, che aveva ricevuto un premio. L'insegnante Laziríski non finiva di lodare Helenka: «La figlia della signora Kowalska è la mia pupilla, non si lamenta mai».
Il fratello, Stanislao, racconta che il direttore Laziríski ricordava sua sorella Elena, quando frequentava la scuola, come una ragazza molto diligente e che studiava con impegno. Si era dispiaciuto che lei non avesse potuto continuare a studiare. Giuseppina ricorda un episodio che le aveva raccontato Elena. Una volta, due compagne di classe si erano allontanate da lei e non volevano sedere allo stesso banco, perché lei era vestita miseramente. Si era rattristata ed aveva pianto. Quando l'insegnante se ne rese conto, la consolò dicendo: «Non fa niente se sei vestita peggio delle altre, in compenso vai meglio a scuola». Nonostante questi inconvenienti con i suoi coetanei, lei si rivolgeva a tutti con amore e rispetto.
«A differenza di Elena, le altre mie sorelle amavano molto giocare ricorda Staszek Kowalski. Sfruttavano volentieri l'occasione per ballare, quando si poteva. A Swinice, a due km dal nostro paese, c'era una sala, dove si tenevano giochi e rap-
presentazioni teatrali. Una volta, c'era una festa da ballo, il cui guadagno era destinato alla chiesa. Era stata invitata nostra sorrella Giuseppina, la più grande».
Il fratello di Elena rievoca un fatto che tutta la famiglia ricorda bene. È pomeriggio. Fuori è ancora chiaro. A casa dei Kowalski sono al completo. In cucina Marianna si affaccenda. Dirige le ragazze, affinché la aiutino a preparare al più presto la cena. Il padre è tornato dal lavoro edile, ma lo aspetta ancora molto lavoro nei campi, per questo deve rifocillarsi. Questa volta Giuseppina si lancia ad aiutare. Sa di doversi meritare il permesso del papà per andare a divertirsi. Si era data da fare tutto il giorno. Dopo pranzo, di sua iniziativa, aveva lavato ed asciugato i piatti. Aveva messo a posto la cucina. Tanto da far stupire la mamma, che aveva perfino scherzato, dicendo che se Jozia era così volenterosa e veloce, lei poteva sedersi nel giardino e riposare.“Per me ti sei già meritata un premio”, diceva alla figlia.
Il padre, tuttavia, che era sempre molto prudente e severo, non riteneva che questo bastasse per permettere alla figlia di andare da sola alla festa. Nonostante Giuseppina dovesse compire di lì a poco diciotto anni, decise di mandare con lei Helenka ordinò loro di tornare al tramonto. Jozia, felice di poter andare, si prepara nella stanza e incita la sorella che indugia un po'. "Vieni Helcia – le dice. – La majówka è sempre bella, e se non vorrai ballare, guarderai». La ragazza non risponde niente,ma si vede che non ha voglia di uscire di casa. Sa, però, che senza di lei il padre non farà andare Józia. Indossa allora il vestito, bacia sulla fronte Lucynka e la mamma sulla mano, ed esce con la sorella. Mentre è ancora sulla porta, dice: "Mammina, non ti preoccupare torniamo presto», ma la sorella la tira già per la mano. Prendono una scorciatoia per arrivare al più presto a Swinice. Lì, la sala è addobbata a festa con nastri colorati, l'orchestra suona.I ragazzi si fanno avanti per
invitare le ragazze a ballare. Le ragazze si divertono allegramente. Perfino Helenka si è fatta persuadere a ballare, sebbene di solito sia molto seria, ma al tempo stesso amabile e gentile, per questo sia i giovani che gli adulti amano la sua compagnia. Quando il cielo è già completamente scuro, Hela cerca di avvicinarsi alla sorella che balla, le tira la manica, ricordandole, in quel modo, che per loro è già tempo di andare. Ma Józia non vede niente e nessuno, oltre al partner con il quale rotea al ritmo della melodia. Il tempo vola, le danze si prolungano. Anche Helenka ha molto successo, così, non volendo far dispiacere nessuno, continua a divertirsi, anche se sente che dovrebbero già tornare a casa. Finalmente riesce a convincere la sorella ad andare. Questa volta Hela marcia ancora più in fretta, a tratti quasi corre, ma la sorella divertita la riprende: «Perché corri? Tutti già dormono, non sapranno nemmeno quando siamo tornate». Purtroppo non ha ragione. Attraversano appena la soglia di casa ed il padre è lì ad attenderle. I'orologio segna le 22,00. Stanislao, non badando al resto della famiglia, ad alta voce le richiama duramente. «Avevano preso una bella sgridata quella volta», commenta quell'episodio il figlio Staszek. Il padre aveva preso la cinta. Helenka si era nascosta sotto il letto, ma Stanislao non l'ha risparmiata e le dirà:«Hai visto, tu che sei una figlia così brava?». «Papà, io non lo farò mai più», aveva promesso in lacrime. E così si doleva di aver fatto arrabbiare il padre, non riusciva a perdonarselo. Sapeva che si preoccupava per loro. Le voleva educare nel migliore dei modi, affinché non fossero mai motivo di vergogna e disonore per la famiglia. Riteneva che fosse meglio rimproverare in anticipo, piuttosto che venire a sapere qualcosa di brutto sui propri figli. Così, per quanto sapesse che Hela non avrebbe mai fatto niente di male, temeva che gli altri ferissero le sue figlie. Elena risentirà a lungo di quel fatto. Eugenia ricorda che, durante una visita a Varsavia, sua sorella, già in convento, rammentava ancora quell'incidente. Diceva che, quando il padre si era così infuriato, gridando allo scandalo e al disonore, si era promessa che mai e poi mai avrebbe fatto vergognare il papà; avrebbe cercato solo di procurare soddisfazioni e lodi ai genitori e a tutta la famiglia.
Domestica illuminata
Tutte le osservazioni critiche, le espressicmi di disapprovazione dei genitori e le punizioni assegnate, erano accolte con umiltà da Elenka. Sapeva che i rimproveri della mamma o del papà servivano per migliorare. Era vero che di lei si lamentavano memo che di tutti gli altri, ma lei si crucciava di ogni sua colpa più a lungo e intensamente, e soffriva, forse più dei genitori. Prometteva sempreai genitori e a se stessa che non si sarebbe più ripetuto. E così accadeva.
La casa di Stanislao e Marianna getta la sua ombra sul cortile. Il caldo pomeriggio domenicale ha fatto uscire tutti di casa. I genitori sono seduti sulla panca sotto il fienile. I ragazzi corrono in giro. Stas e Mieciu rincorrono gli uccelli. La mamma deve raccomandare loro, di continuo, di non farsi male e non far male a nessuno. Le ragazze più piccole si sono volatilizzate in vari angoli del giardino. Stanislao sta leggendo un libro. Ma poi va a parlare con un conoscente sulla strada. Helenka sfrutta il momento in cui la mamma è sola e non è affaccendata in qualche Iavoro. "Mamma, per papà il Iavoro è molto duro, e io non ho di che vestirmi la domenica. Ho il vestito peggiore di tutte le ragazze. Vado a guadagnare qualcosa". Marianna, stupita dall’idea della figlia, in principio non risponde niente. Ma, dopo una breve pausa di riflessione, da il suo consenso. "E' vero — pensa e allunga Ia mano per accarezzare la ciocca di capelli che cadono ostinatamente sulla fronte di Helenka. — Sono tempi duri questi; per papà è sempre più difficile mantenere la famiglia. Anche se le figlie maggiori sono andate a lavorare, anche l’aiuto di un’altra sarà sicuramente utile. Guadagnerà qualche spicciolo per sé e ci aiuterà".Guarda la figlia come se volesse imprimere nella memoria la sua immagine. Va bene, vai — dice. — Ma dillo anche a papà". Helenka, felice,entra in casa. "Non appena verrà papà glielo dirò decide. Di sicuro non avrà nulla in contrario".Stanislao torna di buon umore. La ascolta con calma senza interromperla. Liscia i baffi, a modo suo. E lei aggiunge ancora alla fine del suo discorso: "Papà, non ti arrabbierai più con me, io ti darò una grande soddisfazione". La sera, i genitori si erano seduti insieme e riflettevano su dove mandarla, perché si trovasse con persone buone. Stachu aveva pensato di chiedere a Marcin Lugowski di Rogow, al quale le cose andavano bene, ed aveva molti conoscenti. Dopo poco, si era saputo che la sorella di sua moglie Janina, Leokadia Briszewska, esuo marito Casimiro, che abitavano ad Aleksandrow vicino a Lodz ,avevano bisogno di aiuto. Gestivano un forno ed un negozio; HeIenka avrebbe dovuto non solo sostituirli nel lavori di casa, ma anche aiutare nel negozio. Lavorerà li per quasi un anno. Aleksandrow presso Lodz, di buon mattino, è quasi deserta. Dal la strada principale si allontanano perpendicolarmente strette stradine lastricate, circondate da entrambi i lati da palazzi bassi ad un piano, dietro i quali si trovano i cortili. Via Parzeczewska n. 30 (oggi 1 Maggio n. 7). Li si trova la casa di Leokadia e Casimiro Bryszewskii si entra dalla strada, per un’ampia porta, oltre Ia quale c'e un atrio, attraverso il quale si può andare nel cortile. A destra dell’atrio ci sono le scale che portano al primo piano, all’abitazione dei proprietari. Nel cortile, i locali del forno, a piano terra, perpendicolari al palazzo, si collegano all’edifici0, accanto alla porta che da sulla cucina. La sua finestra si affaccia sul cortile e da essa si vede il forno. A sinistra del palazzo c'e un giardino. (Oggi, al suo posto, è stata costruita un'altra parte della casa). Helenka ha il suo lettino in cucina. Si è appena alzata, lavata ed ha pregato le "'Ore", come fa suo padre a casa. Dietro la finestra, dalla mattina, grigio; nuvole plumbee nel cielo, come se dovesse piovere e tuonare. Per ora è tranquillo, non si sentono tempeste. La ragazza fa ordine nel suo angolino, perché tutto sia pulito e curato, come le ha insegnato la mamma. Improvvisamente, dietro la finestra qualcosa risplende. Una luce cosi forte da illuminare tutta la cucina. In principio Hela aveva pensato che fosse caduto un fulmine li vicino, ma la luminosità non scompare, sebbene durante una tempesta, dopo che un fulmine ha attraversato il cielo, si faccia immediatamente scuro. Neppure si sentono tuoni. Ad Hela viene in mente una cosa terribile: il forno ha preso fuoco. Corre in cortile, sull’edificio un chiarore abbagliante. Inizia a gridare: Brucia, brucia! I panettieri, impegnati a infornare il pane, la sentono. Interrompono il lavoro e corrono. Ma non vedono nessun chiarore, ne luce. Stupiti, tornano al lavoro. Il proprietario del forno si adira con loro per essere usciti, invece di infornare il pane. Tanto più che l’allarme si era rivelato falso.Dopo quel fatto, raccontava Leokadia Bryszewska, si erano preoccupati per lo strano comportamento di Hela. Avevano perfino chiamato il medico, dal momento che la ragazza si lamentava per un forte mal di testa. I suoi datori di lavoro informarono i genitori. Ritenevano, infatti, che dovessero sapere di quell’incidente, nel caso le fosse accaduto di nuovo qualcosa di simile. Marianna si era ricordata che sua figlia aveva avuto, fin dall’infanzia, delle visioni. Ricordava che suo marito si adirava addirittura con Helenka e la rimproverava:"Ma cosa vai raccontando, quale bagliore, quale luminosità, sei stupida?". Ma quando giunse la notizia da Aleksandrow, che la ragazza aveva avuto delle visioni e che avevano dovuto chiamare il medico, mandarono subito Giuseppina. Si preoccuparono che la figlia fosse impazzita, oppure avesse qualche malattia. La figlia maggiore dei Kowalski racconta che, quando era arrivata dai Bryszewski, Hela non aveva voluto parlare con lei del chiarore visto. Ma lei si era ostinata. Aveva spiegato che i genitori si preoccupavano e lei doveva dire loro qualcosa. Aveva chiesto, e chiesto, cosa fosse successo, cosa avesse visto Hela, quando aveva gridato: "Brucia". Alla fine la sorella minore, con titubanza e a malincuore, le aveva spiegato: "Ho visto una luce. Di alla mamma di non preoccuparsi. Non sono stupida, ma non dirò piu niente a loro di questo. Non resterò qui a lungo". Nonostante i primi datori di lavoro di Elena fossero contenti, la lodassero per la sua bontà, educazione, senso del dovere, capacità di raccontare favole ed il suo eccezionale affetto verso i bambini, la ragazza non voleva lavorare più in quel posto. Bryszewska provò a trattenerla. Le chiedeva: "Perché te ne vai?" cercava di convincerla: "Resta!" Ma lei era decisa e rispondeva solo: "Il perché me ne vado non ve lo dico, ma non posso più restare". I proprietari del forno erano rattristati per il fatto che non volesse più lavorare da loro. Dovettero tuttavia rassegnarsi.
"Avevo allora sei o sette anni ricorda Zenon Bryszewski, ormai adulto, che aveva memorizzato la sua balia dell'infanzia per tutta la vita, anche se lei aveva lavorato dai suoi genitori solo per un anno. Amavo molto Helenka, perché, non appena aveva un attimo libero, mi raccontava sempre favole e storie vere che erano accadute dalle sue sue parti. Per esempio dell'erede che era tornato dopo la morte e la gente lo vedeva. La mamma, in negozio, si occupava dei clienti e Helenka faceva ordine, aiutava a cucinare, lavava i piatti, buttava l'immondizia, portava l'acqua, perché non c'erano le condutture per l'acqua. Dava anche da mangiare ai fornai. E, quando il tempo lo permetteva, giocava con me. Doveva avere molto lavoro, perché a casa c'erano quattro stanze, il negozio ed il forno".
Verso la meta desiderata
L'episodio della misteriosa visione di un chiarore, che aveva avuto luogo durante il lavoro ad Alekssandrow, nel 1922, insieme ad altre visioni simili, che Helenka aveva avuto abbastanza spesso precedentemente, mostra come fosse, a dispetto delle apparenze, una persona molto realista. Sapeva che era una cosa strana ed incomprensibile, perciò non parlava molto di quelle esperienze-visioni. E quando, per l'ennesima volta, si era convinta che fossero esclusivamente sue esperienze personali, aveva taciuto del tutto a riguardo. Tutte le opinioni su di lei mostrano che era giudiziosa, forte e allegra, con i piedi per terra, e sapeva quello che voleva. Per questo faceva un pandemonio solo quando la visione era reale e spiegabile razionalmente. Dalla finestra della cucina nella quale abitava si vedeva il forno. Le era sembrato del tutto logico, dunque, che il chiarore visto fosse un incendio. L'allarme suscitato da lei aveva provocato, in quella situazione, dei naturali sospetti sulla sua salute psichica. Ed era, invece, una prova della sua saggezza e idea pratica del mondo.
Dоро un annо di lavoro dai Bryszewski, dopo lа visione di quel misterioso chiarore, per la prima volta si era rivolta allа madre е аl padre, chiedendo il permesso di entrare in con vento. Purtroppo rifiutarono decisamente questa sua richiesta. Lei ассо1sе la cosa con umiltà e serenità. Quel sogno di bambina lа assillava, dunque, ritenne che fosse giunto i momento di realizzarlo, е rivelò ai genitori i suoi piani. Il padre motivò molto concretamente il suo diniego. Disse:
«Vedi, tu non sai cosa fai. Per poter andare in convento, dovrei tirar fuori dei soldi per te, е da dove li prendo? Sai bene che ho solo debiti». Probabilmente si preoccupava della dote che, secondo le usanze del tempo, doveva possedere la candidata per entrare in convento. Elena ascoltò le loro ragioni e con fede incrollabile espose i suoi argomenti: “ Papino, io non ho bisogno di alcun denaro. II Signore Gesù stesso mi porterà in convento”, assicurò.
Ma i genitori rimasero sulle loro. Non si oppose alla loro volontà. Dopo alcuni mesi chiese, per la seconda volta, il permesso. Nel suo diario commentava questo fatto molto laconicamente. Scrisse che, а diciotto anni, si era rivolta alla madre е al padre con la pressante supplica di permetterle di entrare in convento. Tredici anni dopo avendo già alle spalle dieci anni di vita religiosa, scrisse nel suo diario che, dopo l’ ennesimo rifiuto dei genitori, si abbandonò alla vanità della vita. Dopo un breve periodo trascorso in famiglia, Elena era partita per Lòdz ed aveva abitato in via Kronieska n. 9, da Michele Rapacki, il cugino del padre, nipote della nonna paterna . Lo zio e sua moglie Stanislawa l'avevano accolta cordialmente. Grazie а loro non si sentiva persa in una città grande e sconosciuta. In particolare, Michele Rapacki ci teneva che non succedesse niente di male alla figlia di suo cugino. Соsì la ricorda la moglie Stanislawa:
«Conoscevo poco Elena е m’ interessavo poco di lei; mio marito, invece, sapeva sempre dov' era, cosa le succedeva. Ma mi ricordo un fatto che mostra соmе era lei per tutti. Quando ci siamo trasferiti da Swinice а Lòdz, nell’ aprile del 1919, prima di sgomberare completamente il nostro possedimento in campagna, abbiamo trascorso alcune decine di giorni dai genitori di Elena. Quando le mie galline entravano nel giardino dei Kowalski, Gienia imprecava, con parole aspre, perché entravano dappertutto. "Silenzio — diceva Helenka per conciliarla — non vedi che queste galline non vanno da sole, mа sono condotte dalle nostre". Mi fece una grande impressione. Questa sua cordialità mi era particolarmente gradita, perché non era facile, per mе, aspettare la partenza in casa altrui».
La signora Rapacki ammette di non evocare volentieri quei ricordi е, in verità, non ha molto altro da dire sulla nipote di suo marito. Naturalmente, ricorda che aveva trovato il primo lavoro а Lòdz da tre terziarie francescane. In principio non era riuscita а mettersi d’accordo sulle condizioni. Di certo le aveva sorprese con le sue aspettative. Ma, alla fine, avevano acconsentito che partecipasse quotidianamente alla santa Messa, usufruisse del loro confessore, е, nei momenti liberi, visitasse i malati e i moribondi, sostenendoli con lа preghiera. Non meraviglierà il fatto che, perfino delle signore così religiose del Terzo ordine francescano, erano stupite da quel comportamento cosi insolito per una giovane di diciasette anni. Invece di divertirsi e approfittare dei privilegi della sua età, correva in chiesa e accudiva le persone sofferenti. Lavorerà dalle terziarie come domestica circa un anno. Spediva ai genitori quasi tutti i guadagni. ll diniego dei genitori aveva fatto si che Hela decidesse di spegnere la voce della vocazione in sé. Cercava di non rivolgere alcuna attenzione alla voce della grazia, alle ispirazioni interiori. Aveva iniziato, allora, а prendersi cura del suo aspetto. Si vestiva alla moda, elegantemente. Era così cambiata, che la sua successiva datrice di lavoro dubitò persino che fosse adatta ai lavori domestici. «Una ragazza che si veste in questo modo ed e cosi sicura di sé, non può riuscire nei lavori domestici», pensava Marcjanna Sadowska, proprietaria del negozio di alimentari, quando un giorno era apparsa Hela in cerca di lavoro. Dopo un breve colloquio, appositamente abbassò lo stipendio proposto, аl fine di scoraggiare la candidata. Ma la nostra protagonista non si fece scoraggiare. Ac-cettò il lavoro e dimostrò in breve tempo quanto valeva. Gestiva la casa dei Sadowski e si prendeva cura dei bambini.
Anni dopo, la datrice di lavoro, che aveva avuto in principio seri dubbi sul’ utilità di Elena, la ricorda cosi: «Era accondiscendente ed incline аl riso. La sera, quando si sedeva а tavola, i mie tre figli si radunavo intorno а lei. L’ amavano perché raccontava loro favole, giocava а tutto quello che volevano. Quando partivo da casa, ero tranquilla che lei avrebbe fatto tutto meglio di me. Era così previdente e premurosa. E cosi carina, educata, laboriosa. Non posso dire niente di male su di lei, perché era fin troppo buona. Cosi buona, che non ci sono parole per dirlo».
Non c’é da stupirsi di un simile giudizio. А dispetto della prima impressione, Hela dava ogni giorno prova della sua modestia e religiosità. Osservava il digiuno tre volte alla settimana per tutto l'anno, е, quotidianamente durante la quaresima. Senza perdere il buon umore. Aveva dato prova anche del suo bel comportamento, privo di egoismo, verso gli uomini. Quando aveva già deciso di rinunciare аl lavoro, aveva saputo che Marcjanna Sadowska era incinta. Ed aveva deciso di restare fino alla nascita del bambino, per aiutare la sua datrice di lavoro, proprio quando ne aveva più bisogno.
«А Lodz lavoravamo già in tre: Gienia, Helenka ed io, ognuna in una casa diversa — ricorda la sorella minore, Natalia Grzelak. — Helenka e Gienia lavoravano come domestiche in due case disposte l'una di fronte all'altra, in via Abramowska, ed io in via Nawrot». Le giovani Kowalski lavoravano аl! centro di Lodz, vicino alla cattedrale. La domenica andavano а Messa lì, dopodiché si incontravano per dialogare un pò'.
А dispetto della prima impressione, Hela dava ogni giorno prova della sua modestia е laboriosità, ma anche della sua religiosità. Osservava il digiuno tre volte alla settimana per tutto l’anno, е, quotidianamente durante la Quaresima. Senza perdere il buon umore. Si fece subito conoscere come una persona completamente priva di egoismo, е tale fu fino alla fine. Quando aveva già deciso di rinunciare al lavoro, aveva saputo che Marcjanna Sadowska era incinta. Ed aveva deciso di restare fino alla nascita del bambino, per aiutare la sua datrice di lavoro, proprio quando ne aveva più bisogno. Non solo verso di lei aveva un cuore grande.
II negozio della datrice di lavoro di Helenka si trovava а piano terra della palazzina nella quale abitavano i Sadowski. Vi si entrava dalla strada; appena accanto, alla sua destra, c’era una porta sull’atrio che portava alle scale. A sinistra si andava dalla proprietaria del negozio. Appena oltre le porte, sotto le scale, c'era un bugigattolo, piccolo e scuro. Da qualche tempo, vi aveva trovato rifugio un uomo solo e malato. Helenka si era accorta subito che aveva bisogno di aiuto. Gli portava da mangiare; di tanto in tanto lo lavava, confortava e gli parlava del Signore Dio.
Era un giorno grigio e nuvoloso. Nel negozio non c'era un grande movimento, allora Marcjanna andò а casa e disse alla domestica che poteva riposare un po’. II pranzo era quasi pronto, i bambini impegnati tra di loro. Hela riflette un attimo, poi chiese il permesso di uscire di casa. Scese per le scale e bussò alla porta dello stanzino. Silenzio. Busso ancora più forte. Di nuovo silenzio. Forse dormiva. Pensò di andar via, ma qualcosa la trattenne. Aprì la porta Il malato giaceva completamente madido di sudore. Respirava а stento e non riusciva а dire una parola. Gli asciugò la fronte bagnata.
«Bisogna chiamare un medico», disse, più а se che all’ uomo, ma lui le afferrò la mano ed agitò la testa. Assuefatta ormai all’oscurità, riconobbe la paura nei suoi occhi.«Va bene, la prego di non innervosirsi — lo tranquillizzò dolcemente. — Si riposi, ed torno subito». Sapeva già cosa fare. Dopo una decina di minuti era ritornata. Era venuta con un sacerdote. Mentre l’uomo si confessava e riceveva la Comunione, lei pregava davanti allo stanzino. Era tranquilla e felice; il rifugio, scuro е triste, sotto le scale, si era illuminato, quando il Signore Gesù era venuto dell’'uomo sofferente. Mentre lei si trovava iп piedi sulle scale, era entrata nell’ edificio sua sorella minore, Natalia, che era venuta а trovarla. Stupita, chiese cosa stesse succedendo. Dopo che il sacerdote fu uscito, insieme ad Hela vide I'ammalato. Sua sorella, invece, era felice che lui avesse fatto in tempo а riconciliarsi con Dio. II giorno dopo morì. Le giovani Kowalski lavoravano аl centro di Lòdz, vicino alla cattedrale. La domenica andavano а Messa lì, dopodichè si incontravano per parlare almeno un pò. «А Gienia piaceva fare un salto da qualche parte, divertirsi, quando aveva tempo libero — continua Natalia. — Helenka, piuttosto, cercava intorno chi aiutare e trovava sempre qualcuno».
Nonostante i datori di lavoro, la trattassero bene e fossero soddisfatti del suo lavoro e di tutti i suoi servizi per le persone bisognose, Elena non era felice. Рrovava, dunque, ad abbandonarsi alle gioie giovanili, ma non trovava in esse soddisfazione. Una vita così “vana”, come lei la definiva, le lasciava il vuoto nel cuore. Sentiva un continuo richiamo della grazia, che non poteva realizzare. Non la rallegravano ne i divertimenti ne altre cose. II desiderio interiore che non poteva realizzare diventava per lei un tormento sempre più grande. Е scritto nel suo Diario che evitava Dio, andando verso gli uomini, ma che non ce la faceva con quella lotta interiore. Nella sua anima prendeva il sopravvento la grazia di Dio e nessuna umana contingenza poteva cambiare le cose.
Un giorno Genia informò le sorelle che nel parco "Venezia" c’era una lotteria а premi ed una festa da ballo (Attualmente è il parсо di Giulio Sfowacki, nel centro di Lòdz). А quei tempi era un parco giochi, e per incontri di bambini, giovani e adulti.
Si tenevano feste che duravano tutto il giorno. Una delle attrazioni erano l salti nell'acqua dal trampolino. Il pomeriggio c’ erano le feste da ballo che duravano fino а sera tardi. Le ragazze, convinte dalla sorella maggiore, decisero di andarvi. Le aveva invogliate anche la loro comune amica Lucyna Strzelecka (in seguito suor Julita, orsolina). Era un giorno d’estate del 1924. La serata si prospettava molto calda e tutto sembrava preannunciare che le Коwalski si sarebbero divertite perbene.
«Helenka indossava un vestitino rosa di cretonne, con delle balze di stoffa laterali. I capelli pettinati all’ indietro, raccolti in una grossa treccia, che sembrava una mano. Era una ragazza molto carina ed allegra, che poteva piacere — racconta Natalia. — Quando arrivammo alla festa, Giena fu subito invitata а ballare, е noi restammo in piedi. Ad un certo punto si avvicinarono due giovani ed uno di loro invitò Helenka. Lei disse, scusandosi, di non saper ballare bene, ma lui le rispose che avrebbe condotto la danza. Dopo aver danzato, Helenka disse di dover andar via. Non capii cosa significasse; le chiesi perfino se avesse avuto qualche visione, ma lei rispose che non sarebbe rimasta li più а lungo e se ne andò. Poi, si venne а sapere che era andata in cattedrale, е poi era partita per Varsavia, per cercare un convento, е dopo qualche tempo vi entrò».
(Sebbene dall’infanzia avesse bisogni diversi dalle sue coetanee, tuttavia cercava considerevolmente di piacere alle sue amiche, di fare come loro. Si vestiva alla moda, non evitava i divertimenti. Ma sentiva che non facevano per lei, non trovava soddisfazione in essi. Tuttavia, lа gioia di vivere, lа dolcezza ed il suo atteggiamento cordiale, facevano sì che nemmeno i più vicini а lei si accorgessero della sua battaglia interiore. Lei stessa, del resto, non capiva del tutto cosa le accadesse. In quella lacerazione, si lasciava portare dal turbinio della vita, resistendo solo quando lа voce interiore protestava con forza. Proprio come nel parco "Venezia" ) Mentre tutti si divertivano, l’anima di Helenka sperimentava un tormento interiore. Nonostante questo, la ragazza si era lasciata invitare a danzare. Si era lasciata guidare nella danza, e, di certo, voleva abbandonarsi all’atmosfera della festa da ballo. Ad un certo punto, però, vide accanto a sé Gesù martoriato, ferito, denudato delle sue vesti, e sentì la sua voce. Le parole, che erano arrivate a lei, la scossero. Cristo le chiese fin dove avrebbe continuato a soffrire a causa sua, e fino a quando avesse intenzione di ingannarlo. Non c’e da stupirsi se, in una situazione simile, si spense, per lei, quella musica allegra, scomparve dai suoi occhi la bella compagnia nella quale si trovava. Rimase da sola con Gesù sofferente. Come poteva continuare a ballare, a divertirsi? Con la scusa del mal di testa, abbandonò in fretta la pista da ballo e gli amici. Guidata da un imperativo interiore, mosse i suoi passi verso la vicina cattedrale intitolata a San Stanislao . Entrando in chiesa provò sollievo. Fu avvolta dalla serenità. Sapeva di aver bisogno, prima di tutto, della preghiera e dell’unione con il Signore Dio, per sapere cosa fare in seguito. Fuori era quasi buio, e in chiesa non c’erano molte persone. Si inginocchiò davanti all’altare, ma era troppo poco, allora, senza badare ai presenti, si prostrò sul freddo pavimento. Sdraiata, con le braccia stese come in croce, chiese a Dio di mostrarle la sua strada. Chiedeva un’ispirazione che le spiegasse ciò che doveva fare. Allora udì un imperativo: "Vai subito a Varsavia, la entrerai in convento".
Dopo essere uscita dalla cattedrale, Elena si recò direttamente a casa. lmpacchettò Ie sue cose,dividendo i vestiti per Ie sorelle e per Ia mamma; sistemò le cose più urgenti non ancora risolte, ed andò a dormire. II giorno dopo si incontrò con Natalia, alla quale spiegò, come poteva, quello che sentiva e le comunicò la sua decisione. Le chiese di salutare i genitori da parte sua. Si incontrò ancora con i parenti del padre, per chiedere allo zio Michele Rapacki di portare a Glogowiec il pacco preparato per la famiglia. Non volle però ascoltare il suo consiglio di ripensarci e non partire perché avrebbe procurato, in quel modo, un grande dolore alla madre ed al padre. Sapeva di non poter fare diversamente, per cui, anche se la ferivano le parole di Rapacki, si faceva sorda ad esse. Questa volta non poteva piegarsi e perfino il grande amore per i genitori e la sua innata obbedienza non le permettevano di rinunciare alla decisione presa. Con quello che aveva addosso, senza prendere assolutamente nient’altro, partì la capitale. Questa volta la chiamata interiore era più forte del pensiero di quello che avrebbero pensato i genitori e dei loro sentimenti feriti, della paura di fronte alla loro ira. Nessun argomento era abbastanza convincente per farle cambiare idea. Per la prima volta, in quel modo, un imperativo dell’anima ed un impulso misterioso del cuore, non del tutto compreso e decifrato, avevano coperto tutti gli altri obblighi umani e terreni. Per la prima volta, a dispetto dei genitori, Elena Kowalska realizzava pienamente le parole: "Sia fatta la tua volontà, come in cielo cosi in terra". Quando Faustina arrivò a Varsavia e scese dal treno, fu assalita dal timore. Vide che ciascuno correva per la sua strada. Nessuna anima amica, nessun conoscente. Si sentì perduta e cadde nel panico. Che fare? Da chi andare? In quel momento giunse in aiuto, come sempre, la preghiera. Rivolse le sue invocazioni alla Madre di Dio. Invocò Maria, confidando che le avrebbe di certo indicato la giusta direzione e suggerito come agire. Non appena ebbe affidato a Lei i suoi problemi, udì, d’un tratto, nell’ anima, di dover lasciare la città, per andare nel paese vicino, dove avrebbe trovato un posto sicuro per dormire. Ascoltò quella voce interiore e non rimase delusa. Trascorse la notte fuori dalla capitale, da persone perbene, ed il giorno dopo tornò a Varsavia. Scese alla fermata della Ferrovia di Varsavia , vicino alla chiesa di San Giacomo. Le mura dell’edificio sacro dividevano Elena dal frastuono e dai problemi della grande città. In silenzio, in un’atmosfera di contemplazione, poteva chiedere nuove grazie a Dio, la sua guida e le sue indicazioni. Sprofondò cosi intensamente nel colloquio con Dio. Quando Faustina arrivò a Varsavia e scese dal treno, fu assalita dal timore. Vide che ciascuno correva per la sua strada. Nessuna anima amica, nessun conoscente. Si sentì perduta e cadde nel panico. Che fare? Da chi andare? In quel momento giunse in aiuto, come sempre, la preghiera. Rivolse le sue invocazioni alla Madre di Dio. Invoco Maria, confidando che le avrebbe di certo indicato la giusta direzione e suggerito come agire. Non appena ebbe affidato a Lei i suoi problemi, udì, d’un tratto, ne|l’anima, di dover lasciare la città, per andare nel paese vicino, dove avrebbe trovato un posto sicuro per dormire. Ascolto quella voce interiore e non rimase delusa. Trascorse la notte fuori dalla capitale, da persone perbene, ed il giorno dopo tornò a Varsavia. Scese alla fermata della Ferrovia di Varsavia EKD vicino alla chiesa di San Giacomo. Le mura dell’edificio sacro dividevano Elena dal frastuono e dai problemi della grande città. In silenzio, in un’atmosfera di contemplazione, poteva chiedere nuove grazie a Dio, la sua guida e le sue indicazioni. Sprofondò cosi intensamente nel colloquio con Dio, da non accorgersi della fine della Messa. Non sapendo ancora cosa fare, aspettò la Messa successiva. Allora capì di dover andare, dopo la liturgia, dal sacerdote che aveva celebrato, aprirgli l’anima e chiedere aiuto. Così fece. Quando entrò in sacrestia e raccontò i suoi problemi al parroco don Giacomo Dabrovvski, lui fu sorpreso. Hela gli rivelò i suoi desideri e gli chiese in quale convento entrare. Nonostante la meraviglia non celata, il sacerdote le consigliò di continuare ad aver fiducia in Dio, a donargli la sua vita e ad aspettare i successivi eventi. Le diede, poi, l’indirizzo di una famiglia presso la quale avrebbe potuto trattenersi, in attesa del momento in cui sarebbe entrata in convento. Grazie alla raccomandazione di don Giacomo Dabrowski, Elena arrivò da Aldona Lipszycowa che, dopo anni, la ricorderà così: “Nell'anno 1924 abitavamo con mio marito e quattro figli a Ostrowek, comune di Klembow, nel distretto di Radzymin. Mio marito aveva chieste al parroco della parrocchia di San Giacomo, nel quartiere Ochota di Varsavia, qualcuno che mi aiutasse in casa. Il canonico Giacomo Dabrowski era in precedenza parroco a Klembow, ed aveva fatto amicizia con mio marito. Le aveva battezzate, sposate ed aveva battezzato tutti i nostri figli. Fu proprio lui che ci mandò, nell’estate del 1924, Elena Kowalska, con un biglietto sul quale era scritto che non la conosceva e augurava che andasse bene. Arrivò da noi con un piccolo fagotto. Nel fazzoletto da testa, annodato, c’era tutte il suo patrimonio. Fece l’impressione di una ragazza sana, serena e allegra. Aveva capelli lisci e rossi, una grossa treccia, la faccia tranquilla, un po’ lentigginosa. Venne da noi con un biglietto del sacerdote, dicendo di voler guadagnare per la dote per il convento, e che, non appena l’avesse raccolta, sarebbe entrata in convento. Mi ricordò che non si comprava assolutamente niente e metteva da parte lo stipendio per la dote. Era serena, amava i bambini, giocava con loro. Mi ricordo che una volta aveva giocato con loro a travestirsi, e lei stessa, essendosi travestita, si divertiva come una bambina. Ricordo il suo sorriso sano e felice. Cantava molto; per me la sua persona è legata alla canzone che intonava più spesso, che ho imparato da lei: "Devo adorare Gesù nascosto nel Sacramento, dare tutto a Lui, vivere il suo amore. Lui si dona tutto a noi, è venuto ad abitare qui; offriamogli la vita, per la sua gloria divina". Adesso che ho saputo della sua vita, ho capito che questa canzone era tutta la sua esistenza. Era laboriosa, faceva ogni lavoro con piacere, da sola, senza che fosse necessario ricordarglielo. Faceva parte della famiglia; noi tutti l’amavamo e rispettavamo molto. Non imponeva a nessuno la sua religiosità. Sebbene sapessi dall’ inizio che se ne sarebbe andata in convento, tuttavia, in quell’anno ci legammo così tanto a lei, che la sua partenza fu per me un’esperienza dolorosa”. Fu difficile accettarlo anche per i bambini che, non solo apprezzavano il suo lavoro, ma l’amavano sinceramente e spontaneamente. “Avevo circa sei anni quando Elena lavorava in casa nostra - ricorda la figlia di Aldona Lipszycowa – Era sempre calma e serena, lavorava con energia, e sorridendo come se nessun lavoro le pesasse, e di lavoro ce n’era, perché la nostra famiglia era numerosa. Noi bambini volevamo molto bene a Hela perché giocava spesso con noi e non si arrabbiava mai. La ubbidivamo , sebbene non fossimo molto docili, perché aveva sempre ragione. Non che la temessimo, ma per nessuna cosa al mondo avremmo voluto farle dispiacere. Hela spesso cantava durante il lavoro una canzone: Voglio adorare Gesù nascosto nel Sacramento… Da lei ho imparato questo canto che mi ricorda Hela sorridente, chiara , con una grossa treccia d’oro, che mette in ordine la casa e canta. Quando era già in convento, ci venne a trovare. Avevamo iniziato a chiedere alla madre di convincere Hela a tornare da noi, promettendo che saremmo stati buoni con lei, ma ci aveva risposto che Hela non voleva rinunciare alla strada intrapresa..”
Verso la fine del suo soggiorno annuale di lavoro a Ostròwek, Elena sentiva sempre più forte la pressione della sua ultima datrice di lavoro. Nonostante Aldona Lipszycowa fosse una persona devota, non capiva la felicità della vita religiosa. In tutta onestà , voleva tanto sistemare Hela. Certamente, riteneva che la ragazza non sapeva cosa fosse bene per lei e non si rendesse conto della decisione presa. Era il 18 giugno del 1925. Corpus Domini. Durante l’ottava, Elena si rivolse, con la sua anima gemente, a Dio. In risposta sentì quanto Dio l’amasse. Durante i vespri fece il voto perpetuo di castità. Nonostante i tentativi di trovarle un partner per la vita, Helenka Kowalska rimase impassibile nella sua decisione. Non l’avevano smossa neanche la visita e gli argomenti di Giena, che aveva visitato la sorella minore a Ostròwek, su richiesta dei genitori, affinché tornasse a casa e rinunciasse alla vita in convento. La madre e il padre continuavano a non accettare questa decisione. Quando Michele Rapacki portò loro le cose di Hela e riferì della decisione incrollabile di lei, reagirono in modo emotivo: “ Le faccio vedere io il convento”, disse Marianna. “La figlia migliore, prediletta, dovrebbe lasciarci? Non possiamo assolutamente acconsentire”, appoggiò la moglie, Stanislao.
Avendo un tetto sulla testa ed un lavoro dai Lypszycowie,
Elena iniziò un pellegrinare per i conventi di Varsavia. Per fortuna l’estate
del 1924 era calda, ed i vestiti con i quali era venuta a Lòdz le bastavano,
anche la sera, per non gelarsi. La mattina , infatti assolveva i suoi doveri
dai datori di lavoro, ed il pomeriggio cercava un convento che l’accogliesse.
Fece il giro di vari conventi, bussò a tante porte, ma dappertutto la rifiutavano.
In alcuni conventi le dissero perfino che non c’era posto per le domestiche. La
speranza di raggiungere lo scopo desiderato su questa terra cominciò a vacillare.
E come sempre, in situazioni simili, quando l’impotenza le stringeva il cuore,
quando si sentiva abbandonata con i suoi problemi, chiedeva aiuto a Gesù. Era
la fine di luglio. Helenka aveva una pausa durante il giorno. L’aria, in quell’
ora del pomeriggio, aveva una temperatura tale da sembrare evaporata da un
forno bollente. Camminando arrivò a Zytnia n. 3/9. Si fermò davanti al cancello
della casa generale della Congregazione delle Suore della Beata Vergine Maria
della Misericordia a Varsavia e bussò.
Disse di voler iniziare la vita religiosa. Mandarono da lei Margherita Gimbutt,
in seguito maestra di noviziato. Questa, dopo averla ispezionata, la valutò
così: “Non appariscente, di età avanzata, corporatura abbastanza esile,
domestica, cuoca di mestiere, senza alcuna dote, neppure il più modesto
corredo. Niente d’eccezionale. E’ arrivata una poverella, gracile, indigente,
senza espressione, niente di promettente.
Il fatto è ricordato da suor Borgia Tichy, infermiera e
poi madre superiora di suor Faustina a Vilnius. “Giacché la madre generale
Leonarda Cieleka non era troppo entusiasta di quel tipo di vocazioni, voleva
congedarla subito”. Tuttavia madre Michela Moraczewska, superiora del convento
di Varsavia, presente alla ricreazione del pomeriggio, le propose che avrebbe
parlato personalmente alla candidata. “Scesi nel parlatoio ed aprii la porta –
madre Michela descrive quel momento - ma
l’aspirante, seduta in modo tale da non potermi vedere, non mi fece, a prima
vista, una buona impressione, per via del suo aspetto trasandato. Pensai:questa
non fa per noi! E rinchiusi in silenzio la porta, con l’intenzione di mandare
un’altra suora perché la congedasse. In quel momento però, pensai che era più
caritatevole farle prima alcune domande e solo dopo rimandarla a casa. Tornai
dunque nel parlatorio e iniziai il colloquio. Mi accorsi solo allora che, vista
da vicino, la candidata guadagnava molto”. Durante quell’incontro la ragazza
impressionò la suora con il suo sorriso gentile, l’espressione simpatica del
volto, la semplicità, l’ onestà e le sue risposte piene di buon senso.
“Certamente una ragazza esile, ma buona e carina” pensò la madre Michela,
cambiando parere sulla sua interlocutrice ed accrescendo il desiderio di
accoglierla nella Congregazione. Volendo ancora riflettere, le ordinò di andare
dal Padrone di casa e chiedere a Lui se l’accoglieva. Elena capì subito di
dover andare dal Signore Gesù. Con grande gioia dunque si recò in cappella e
chiese: “Padrone di questa casa, sei disposto ad accettarmi?” Si può pensare che sapesse bene la risposta, ma
di certo si rallegrò sentendo nell’anima una voce: ”Ti accolgo, sei nel mio
cuore”. Quando uscì dalla cappella, poté tranquillamente dire alla madre
superiora che il Signore l’aveva accolta. Allora sentì le parole desiderate:
“Se il Signore ti ha accolto, anch’io ti accolgo”.
Madre Michela propose dunque ad Elena di guadagnare,
prima, la quota necessaria per la dote per il convento, lavorando per un anno,
dopodiché si sarebbe potuta presentare di nuovo. Si misero perfino d’accordo
che avrebbe portato in convento i risparmi accumulati. Dopo alcuni mesi, Hela
si presentò con i primi sessanta Zloty. Passavano i mesi e la somma cresceva
sistematicamente, finché raggiunse le centinaia di zloty necessari. Il 1°
agosto 1925, di sera, vigilia della solennità della Madonna degli Angeli,
secondo l’accordo preso un anno prima, si presentò nuovamente al cancello della
casa della Congregazione delle Suore della Beata Vergine Maria della
Misericordia, e chiese di essere accolta. Quel giorno Elena Kowalska rimase in
convento come aspirante.
Materialmente povera, ma
ricca di spirito, ferma, forte e decisa, la ragazza di Glogowiec era
arrivata alla casa generale della Congregazione delle Suore della Beata Vergine
Maria della Misericordia in via Zytnia n.3/9 a Varsavia. Si era così ritrovata
in un convento che, nell’anno 1925, aveva già 63 anni di vita e attività
difficili alle spalle. La sua storia risaliva ai tempi delle dominazioni, della
prima guerra mondiale e dell’indipendenza ottenuta dopo anni di schiavitù. Le
suore, fin dal principio, nonostante le molte difficoltà , avevano realizzato
con coerenza l’opera di recupero di ragazze e donne smarrite, bisognose di un
profondo rinnovamento morale. Nelle “Case della Misericordia”, condotte dal
convento si trovava un rifugio e la possibilità di tornare ad una vita degna di
una ragazza e di una donna moralmente integra. Lì andavano a finire spesso
persone condannate dall’ambiente, rigettate dai più vicini, abbandonate da
tutti e completamente sole al mondo. Le giornate delle donne in affidamento
erano regolate dalla presenza e dal lavoro. Sotto l’occhio attento delle suore
le ragazze ricamavano, tessevano, rilegavano libri, imparavano il lavoro in
cucina e nei campi. In questo modo imparavano un mestiere e conoscevano i
principi della vita cristiana. Le ragazze affidate alle suore erano chiamate
allieve o, colloquialmente figlie. Le lezioni erano tenute nelle classi,
quindi, le educatrici venivano chiamate “madre della classe”. Non era stato un
periodo facile per Elena. Così obbediente, attenta a non procurare dispiaceri
ai genitori, senza avvisarli, era scappata da Lodz, dove lavorava come
domestica, ed era entrata in convento senza il loro permesso. Aveva affrontato
il rischio di suscitare l’ira dei suoi cari, di offenderli e rompere ogni
rapporto con loro. Tuttavia, aveva fatto questo passo, con la fiducia che Dio
avrebbe messo a posto quello che gli uomini avrebbero sbagliato. Sarà fedele a
questo principio fino alla fine della vita.
Suor Borgia Tichy, infermiera Varsavia, e poi superiora di Faustina a
Vilnius, la ricorda così: “ Di aspetto esteriore poco attraente, aveva,
tuttavia, nel suo modo di essere, una certa finezza e delicatezza, per le quali
superava le altre.” Quando Elena era entrata nella congregazione nella casa di
Varsavia, madre Janina Olga Bartkiewicz si occupava delle postulanti. Una donna
energica di spiccata intelligenza e gran cuore, che nascondeva la sua bontà e
magnanimità sotto l’aspetto ruvido e
severo di una persona esigente, a volte quasi dispotica. Aveva un cuore grande
per le giovani suore e al tempo stesso le dirigeva severamente. Era la vicaria
generale, maestra del noviziato e della terza “probazione”. Nell’anno 1925
aveva in affidamento le ragazze che, durante i primi mesi del postulantato,
osservavano la vita religiosa e si preparano ai due anni di noviziato. Questi
due periodi si chiamano nella Congregazione. “probazione”. Il primo, il
postulantato, prepara alla vestizione; il secondo, il noviziato, è il periodo
che precede i primi voti. La terza pronazione inizia alcuni mesi prima dei voti
perpetui e prepara ad essi. Madre Janina riteneva che Helenka fosse un’anima
grata al Signore Gesù. Diceva che aveva una particolare vita interiore, che non
svelava troppo, ma a lei aveva rivelato che, a volte, aveva contatto con le
anime dei defunti. Oltre alla vita spirituale, che per la ventenne di Glolowiek
era molto importante, le erano piombati addosso gli obblighi quotidiani, che
cercava di adempiere il meglio possibile. L’avevano assegnata come aiuto a suor
Sabina Tronina, che dirigeva i lavori della cucina nel convento. Lei dirà:” La
mia prima impressione fu piuttosto negativa. Aveva i capelli rossi e molte
lentiggini”. Si era, però, presto convinta che quella ragazza poco appariscente
era laboriosa, capace e obbediente. Adempiva i suoi doveri con serietà e faceva
tutto quello che le si chiedeva. A volte durante il giorno, chiedeva una
piccola pausa per andare in cappella. Non sempre riceveva il permesso. Suor
Sabina le spiegava allora che non era ancora una suora e non aveva obblighi
speciali, per questo le bastava pregare in cappella la mattina o la sera. Aveva
presto scoperto, tuttavia, che Hela non era solo umile e di poche parole, ma
anche molto raccolta ed unita a Dio. Michela Olga Moraczrwska era la superiora
della casa di Varsavia e, in seguito, dall’anno 1928, madre generale della
congregazione. Aveva una solida istruzione, padroneggiava il francese,
l’inglese ed il tedesco ed aveva terminato il conservatorio. Oltre all’
istruzione, aveva qualcosa di molto più importante: un animo grande. Come superiora
della casa e madre generale, aiutava sempre suor Faustina e la sosteneva nei
momenti più difficili. Era una di quelle superiore delle quali Hela aveva
fiducia. Per questo le rivelava i suoi segreti mistici e gli imperativi divini.
Tuttavia, all’inizio del suo cammino religioso, nonostante ne avesse
l’intenzione, Hela non era riuscita a parlare con lei per condividere le sue
pene, nel momento in cui aveva avuto dei dubbi e uscire dal convento. L’aver
intrapreso la vita religiosa le richiedeva molti sforzi, sacrifici ed un impegno interiore enorme per superare le
difficoltà che si accumulavano. Alla fine si era realizzato il suo sogno, ma la
gioia era durata pochissimo. Dopo tre settimane di “vita paradisiaca”, era giunta alla conclusione di poter dedicare
troppo poco tempo alla preghiera ed alla contemplazione. Non riusciva a
ritrovarsi nelle abitudini a lei sconosciute della vita religiosa, nel ritmo di
vita insolito, pieno di tanti doveri. Riteneva di essersi ritrovata nel posto
sbagliato. Ancora una volta l’aveva aiutata la preghiera. Non potendo
incontrare la superiora per dirle che voleva cambiare il convento con uno più
adatto a lei, con una regola più austera, pregava in cappella, chiedendo a Gesù
una luce per quella situazione. Non avendo ottenuto una risposta, si era
nuovamente rivolta a Dio, prostrata sul pavimento della sua cella.
Improvvisamente, si era fatto chiaro ed era apparso Gesù sofferente. Aveva
detto di aver chiamato Elena a quel convento e non ad un altro, e che in quella
congrega-zione avrebbe riservato molte grazie per lei. Madre Michela Moraczeska
, aveva molto difeso suor Faustina che a
sua volta le era molto grata e ne parlava col massimo rispetto, infatti nel suo
diario suor Faustina la ringraziava per la comprensione e l’aiuto. Dopo la sua
morte, si era scoperto che madre Michela faceva parte delle così dette
anime-offerte, persone, cioè, che offrono deliberatamente la propria vita per
la conversione dei peccatori, dei sofferenti in purgatorio e per altre cose
importanti. Poco tempo dopo aver dubitato della strada presa, Elena divenne
debole fisicamente. Senz’ altro ebbero un certo influsso le esperienze
spirituali, lo sforzo interiore troppo grande, i digiuni e le rinunce
intraprese, ed anche il cambiamento del ritmo di vita e le emozioni legate ai
nuovi obblighi della vita in convento. Non badando tuttavia alla debolezza del
suo organismo, la candidata eccezionale realizzò i suoi desideri spirituali. Un
giorno chiese al Signore Gesù per chi doveva ancora pregare. Visto allora l’Angelo
Custode che le ordinava di seguirlo, si ritrovò con lui in un luogo nebbioso,
invaso dal fuoco, dove vide tantissime anime sofferenti. Queste anime pregavano
ardentemente, ma senza efficacia per se stesse. Elena capì che solo gli uomini
che vivono sulla terra potevano aiutarle. Le fiamme che bruciavano quegl’
infelici non la toccavano, e l’Angelo Custode era sempre con lei. Chiese a
quelle anime quale fosse il loro dolore più grande. Risposta: La nostalgia di
Dio. Vide anche la Madre di Dio visitare le anime del purgatorio. La chiamavano
“Stella del Mare”, perché portava loro refrigerio. Elena voleva restare ancora
in quel luogo tenebroso, per consolare i sofferenti, ma l’Angelo Custode le
ordinò di andare via. Allora sentì una voce interiore che diceva: “La mia
Misericordia non vuole questo ma lo esige la mia giustizia”. Da quella volta
Elena ebbe rapporti più stretti con le anime sofferenti del purgatorio. Questo
fatto ebbe luogo a Skolimow, vicino a Varsavia, dove la sua superiora,
preoccupata per la sua salute, l’aveva mandata a riposare con altre due suore.
In quel tempo la Congregazione aveva lì una villa in affitto, per le vacanze
estive delle suore e delle allieve. In autunno rimaneva lì una suora in
convalescenza con una compagna, ed Elena
cucinava per loro, adempiendo perfettamente questo dovere. “Eravamo entrambe
postulanti a Varsavia – ricorda suor Simona
Nalewajk –Un sabato, la cuoca, suor Marcjanna Oswiecimek, aveva
raccomandato ad Elena di lavare le stoviglie in cucina dopo pranzo, a me,
invece aveva detto di riposare in giardino. Dopo un po’ di tempo
(quarantacinque minuti) sono tornata ed Elena si affaccendava in cucina, ma le
stoviglie non erano lavate. Suor Marcjanna l’aveva rimproverata con parole
dure, per non aver fatto quanto doveva. E lei aveva risposto: “Sorella , la
prego, non ho fatto in tempo”. Suor Marcjanna si era innervosita e le aveva
ordinato di sedersi sul tavolo.
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